Andy Biggio (135th Infantry Regiment): la sua storia nel libro “The Rifle”.

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la Redazione

L’occasione

Nel suo libro “The Rifle”, dove si narrano tante storie di soldati veterani della Seconda Guerra Mondiale, Andrew Biggio ci racconta anche la storia del suo prozio omonimo, morto in Italia sugli Appennini durante le operazioni di sfondamento delle difese germaniche della Linea Gotica nel settembre 1944. La storia si vale della testimonianza diretta dei commilitoni Ed Hess e John Hymer. Una vicenda triste ma di grande intensità emotiva, per ovvi motivi molto sentita dall’autore del libro così come dai volontari dell’associazione Gotica Toscana. L’autore di “The Rifle” ha più volte visitato i luoghi degli scontri e il punto esatto dove il suo prozio è caduto. La piazzetta antistante il MuGot – Museo Gotica Toscana è intitolata ad Adrew Giovanni Biggio, caduto a 19 anni sulla Linea Gotica.

Andrew Biggio, autore di “The Rifle”, sarà ancora in Toscana per le celebrazioni dell’80° Anniversario della Battaglia del Giogo, nel quadro degli eventi organizzati per “Un Tuffo nella Storia” da Gotica Toscana nel prossimo mese di settembre 2024.

Non è molto tempo che Gotica Toscana aps, per ricordare il sacrificio di Andrew Biggio e delle migliaia di altri giovani americani caduti in Appennino nei combattimenti contro i nazifascisti, nel luogo esatto dove Andy G. Biggio cadde, ha collocato un cippo commemorativo, a perenne testimonianza del suo sacrificio. Su di esso, un QR-Code permette di leggere sul sito internet www.goticatoscana.eu la triste ma gloriosa storia di questo soldato americano.

Impegniamoci tutti a rinsaldare e a tramandare le memorie di guerra per affermare con decisione, sempre e ovunque, il valore supremo della Libertà, conquistata a caro prezzo grazie al sacrificio di tanti valorosi combattenti.

Grazie infinite, Andrew Biggio. Ti siamo debitori per l’Eternità.

A. BIGGIO, The Rifle: Combat Stories from America’s Last WWII Veterans, Told Through an M1 Garand, Washington, Regenery History, 2021, pp. 247-257.

ALLA RICERCA DI ANDY

I veterani Ed Hess e John Hymer
(34a Divisione Fanteria)
raccontano.

Media, Pennsylvania

Nel dicembre del 1946, Ed Hess si stava finalmente riambientando a casa. Come molti americani che avevano servito nella guerra, egli non la vedeva dal 1943. Era il periodo natalizio nella città di Media, in Pennsylvania; ed era la prima volta in anni che tutti i ragazzi del quartiere tornavano insieme. Si diffuse la voce che molti di loro si sarebbero riuniti presso il Veterans of Foreign Wars (VFW) per una festa di Natale.
Ed entrò nella sala del VFW e la trovò piena. Le decorazioni della festa pendevano dal soffitto e in un angolo stava l’albero di Natale illuminato. Il bar era pieno di uomini che bevevano, ridevano e conversavano. Ed prese una birra e si diresse in un angolo dove vide un uomo che conosceva dai tempi del liceo; stava parlando con un gruppo di persone.
“Salute,” disse Ed mentre si avvicinava, alzando il bicchiere verso l’uomo che conosceva dall’infanzia.
“Sì, salute. Dov’eri durante la guerra esattamente?” chiese l’uomo.
“In Italia,” rispose Ed.
Gli uomini del gruppetto iniziarono a ridere. “Ah! Come sta il papa?” Erano tutti Marines e avevano servito nel Pacifico Meridionale.
“Amico, avrei voluto anch’io passare il tempo in Italia!” disse un altro Marine. Gli uomini continuarono a deridere la Campagna d’Italia, sminuendola, come se fosse stata una sorta di vacanza.
Ed, adesso novantanovenne, stava con gli occhi bassi, ricordando come i Marines lo avevano umiliato settantacinque anni prima. Lo infastidiva ancora che avessero considerato il suo servizio in guerra una barzelletta. “Ho cercato di ridere con loro ma non ci riuscivo”, disse Ed ancora visibilmente turbato da questo ricordo. “Tutti sapevamo che i Marines avevano avuto vita dura nel Pacifico, senza dubbio; ma in Italia non era stata una passeggiata, tutt’altro. Sono rimasto piuttosto amareggiato da quell’episodio, tanto che per molto tempo non mi sono coinvolto nelle attività dei veterani.”

Ed aveva una birra Rolling Rock davanti a sé. Non avevo mai bevuto con un uomo che era a pochi mesi dal compiere cento anni. Il fucile era sul tavolo davanti a noi, quasi completamente pieno di firme. Rimanevano liberi uno o due punti dove scrivere. Dovevo fare in modo di valorizzare quegli spazi vuoti.
Dopo aver ascoltato storie di veterani che avevano servito in guerra in tutto il mondo, sapevo di dover dare il massimo per ritrovare chi era stato su quella collina in Italia nel giorno fatidico in cui Andy Biggio, il mio prozio, fu ucciso in azione. Dopotutto, era per questo motivo che avevo iniziato il progetto “The Rifle”.
Ed era stato lì. Avevo trovato il suo nome in archivio, su un articolo di giornale di venti anni prima, quando egli aveva servito come Gran Maresciallo nella locale parata del Memorial Day. Era citato come appartenente alla stessa divisione, stesso reggimento e stessa compagnia di Andy. Chiamai il numero di telefono indicato, e rispose suo figlio. Ed era ancora vivo! Guidai per sei ore fino in Pennsylvania per incontrarli nello stesso VFW dove i Marines lo avevano deriso sette decenni prima.
Quando arrivai in città, giunsi al VFW prima di Ed e suo figlio. Ordinai una birra, e le persone del luogo mi chiesero cosa mi portasse lì. Appena finito di spiegare lo scopo della mia visita suonò il campanello della porta. Sulla telecamera di sicurezza dietro il bar vidi un uomo con un deambulatore entrare nel bar. Era Ed.
Sapevo che questa occasione era decisiva per sapere cosa era successo il 17 settembre 1944, il giorno in cui Andy perse la vita in Italia. Ed sarebbe stato uno degli ultimi pezzi del puzzle, uno degli ultimi uomini a firmare il fucile.
Mentre entrava nel bar con suo figlio, che lo seguiva, gli tesi la mano. Egli la strinse; e procedette verso un angolo separato del bar per evitare il rumore e avere della privacy. Andai a pagare il mio drink. “I tuoi soldi non valgono qui”, insistette il barista, restituendomi la mia banconota da venti dollari.
Ed sapeva perché ero lì. Abbassò la testa e si mise a suo agio nella stanza usata per giocare a freccette. A differenza degli altri veterani, per i quali preparavo una lista di domande, Ed iniziò a raccontare liberamente.

Alla ricerca di Andy

“Mi sono unito alla 34ª Divisione appena prima che attaccassero Monte Cassino”, spiegò Ed Hess. “Un proiettile fece esplodere una casa in cui mi trovavo con altri quattro. Ero sepolto fino alle ascelle nei detriti prima di essere tirato fuori. Gli altri membri della mia squadra furono uccisi. Io sopravvissi cavandomela con una brutta commozione cerebrale.” Questo evento accadde mentre serviva con la Compagnia G del 135º Reggimento.
Poco dopo, Ed fu trasferito alla Compagnia B. “La stessa Compagnia di tuo zio. Avevano bisogno di più uomini”, disse. “La divisione stava marciando attraverso Roma liberata.”
Per me aveva perfettamente senso. Secondo le lettere di Andy, egli si era unito alla 34ª Divisione come rimpiazzo poco prima di prendere Roma. Una volta lasciata la città, il 135º Reggimento s’imbatté in intensi combattimenti. Mentre risalivano la costa occidentale dell’Italia, tra il giugno e il luglio del 1944, spesso gli Americani entravano in contatto con l’esercito tedesco in ritirata. Non avevo bisogno di un libro di storia per saperlo. Era scritto nelle lettere di Andy.
“Nei dintorni di una città chiamata Rosignano, se sapevamo dove si trovavano i tedeschi, ci infiltravamo oltre le loro postazioni su di una collina, per poi calare con una corda la dinamite nascosta in una valigia”, mi disse Ed. “L’esplosione faceva saltare le postazioni in cemento. Potevamo vedere i tedeschi cercavano di allontanare la valigia, ma non serviva a nulla. La carica esplodeva lo stesso.”
Il racconto dei combattimenti lungo la costa italiana (nei pressi di Livorno) coincideva con le storie raccontate da Carl Di Cicco e Lawson Sakai, entrambi appartenenti alla Trentaquattresima Divisione “Red Bull”. “Abbiamo avuto tutto il mese di agosto per riposare, poi siamo stati destinati a un accampamento fuori dalla città di Barberino [del Mugello] intorno al 12 settembre 1944. In lontananza potevamo vedere le montagne [dell’Appennino] che costituivano il nostro nuovo obiettivo. Quando ci avvicinammo ai rilievi, sembrava che qualcuno avesse usato una motosega su tutti gli alberi. I tedeschi avevano abbattuto tutto per avere un campo di tiro perfetto su di noi”, ricordava Ed.
Gli uomini erano ricoperti di fango perché era iniziata una stagione di forti piogge. Con tutto quel fuoco di mortai in arrivo, si buttavano di continuo pancia a terra, ma non avevano alcun posto dove trovare riparo, neppure un albero dietro cui nascondersi. La collina era disseminata di aggrovigliamenti di filo spinato e di postazioni di tiro camuffate.
“Il nostro comandante di compagnia, il capitano Drury, fu il primo a morire, il 14 settembre”, disse Ed. “Egli si avvicinò con alcuni altri soldati per una ricognizione, e un cecchino lo colpì.” Il fuoco del cecchino bloccò gli uomini per diverse ore. I Tedeschi lanciavano granate e chiamavano il fuoco dei mortai sui soldati in pattuglia.
“Eravamo giunti in alto sul monte [da conquistare] e iniziammo a scavare”, disse Ed parlando dei combattimenti sui contrafforti appenninici. “La Compagnia B dovette disperdersi al punto che adesso le comunicazioni erano soltanto a livello di plotone. Tutti sentivamo che era una missione suicida. Alcuni uomini considerarono la diserzione.”
Mentre erano distesi sul fianco della collina, Ed raggiunse punto di rottura. “Iniziai a dire a me stesso: ‘Perché dovrei morire qui? Ho portato il BAR per nove mesi. Merito una pausa. Non dovrei restare in prima linea fino a morire’. Supplicai il mio comandante di plotone di essere mandato giù dalla collina. “Ci sono molti lavori che posso fare nelle retrovie, signore, ho portato il BAR da Cassino”, gli dissi.
Il tenente rispose a Ed che non gli sarebbe stato permesso di lasciare la prima linea. Ma per qualche ragione, pochi minuti dopo, un altro soldato si avvicinò a lui e gli tolse il BAR. Il soldato informò Ed che il tenente voleva che si dirigesse giù verso il comando di Compagnia.
Ed camminò per circa un miglio giù per la collina. Era momentaneamente al sicuro. Lavorò presso il Comando di Compagnia per diversi giorni. “Dopo qualche giorno, iniziai a sentire quanto difficili fossero le operazioni della mia compagnia sulla montagna”, disse. Un altro ufficiale si avvicinò a Ed e gli chiese aggressivamente perché si trovasse nelle retrovie e non con gli altri sul monte.
Ed spiegò cosa era successo e che il suo tenente lo aveva mandato indietro.
“Stronzate” disse l’altro tenente. “Porta su gli uomini del GRO alla tua Compagnia adesso!”
Gli uomini del GRO [Graves Registration Officers] erano gli ufficiali della registrazione delle tombe. Gli uomini, insieme ad alcune truppe di rimpiazzo, iniziarono a risalire la collina scivolosa. Era la prima volta che Ed tornava in prima linea, dopo alcuni giorni.
“Quando la montagna si appiattì un po’, è allora che li vidi. Trentasette di loro”, disse Ed mentre iniziava a piangere davanti a me e a suo figlio. “Trentasette di loro”, continuava a ripetere prima di spiegare che stava parlando dei trentasette soldati della sua compagnia che aveva trovato distesi morti uno accanto all’altro in uniformi sporche di sangue, in attesa di essere raccolti.
Uno di loro era Andy Biggio.
“Gli uomini del GRO iniziarono a prenderli. Li portammo giù dalla collina”, disse Ed tra i singhiozzi. Gli uomini furono costretti a portare i corpi dei loro commilitoni giù per la collina fangosa e scivolosa con le barelle.
Abbassò la testa. Si sentiva in colpa? Ancora, dopo tutto questo tempo? Dopotutto, non sarebbe mai arrivato a novantanove anni se non avesse chiesto di scendere dalla prima linea quel giorno. “Così tanti uomini sono stati feriti o uccisi e io non ho mai avuto un graffio”, disse Ed mentre si asciugava le lacrime dagli occhi.
“Beh, sono sicuro che hai vissuto la tua vita come loro avrebbero voluto”, dissi esitante. Nel retro della mia mente sapevo che mancava qualche informazione su ciò che era successo esattamente ad Andy in quei giorni in cui Ed lasciò la prima linea di fuoco. Ero orgoglioso e affranto che mio zio diciannovenne fosse rimasto nella sua posizione sulla collina fino alla morte. Come Ed, non voleva essere lì nemmeno lui. Nella sua ultima lettera a mia bisnonna, Andy diceva chiaramente di non voler “tornare su quella collina” e pregava che le spedisse una collana con una croce da indossare come talismano.
Ed continuò. “Quando salii sulla collina, incontrai John Hymer. Non vive troppo lontano da qui.”
“Aspetta? Cosa?” chiesi incredulo.
“Sì, un altro uomo della nostra compagnia vive a un’ora da qui. È ancora vivo,” rispose. Ed mi diede l’indirizzo a Bridgeton, New Jersey.
Ed continuò a parlare, ma non riuscivo più a concentrarmi su ciò che diceva. Non potevo credere di aver trovato due di questi uomini, a un’ora di distanza l’uno dall’altro, dopo aver passato mesi cercando in tutto il paese che qualcuno di loro saltasse fuori. John avrebbe avuto più risposte da darmi circa cosa era accaduto al mio prozio?
Alla fine della mia intervista con Ed, fui contento di vederlo firmare il fucile. Aveva vissuto con il senso di colpa per un’eternità. Era tornato dalla guerra, aveva lavorato per quarant’anni, si era sposato, aveva fatto due lavori, era andato in pensione, aveva avuto due figli. Aveva inoltre accudito il figlio disabile fino alla sua morte, avvenuta due anni prima. Tornato a casa Ed avrebbe potuto vantarsi della guerra nei bar, fingendo di essere qualcun altro; ma rimase una persona semplice, tranquilla, d’onore.

Bridgeton, New Jersey

La mattina successiva, mi diressi alla residenza degli Hymer nel New Jersey. John e sua moglie sapevano che stavo arrivando, e ne erano contenti. “È così bello avere qualcuno interessato a tutto questo, dopo tanto tempo,” disse sua moglie mentre mi faceva accomodare nella loro casa. I due erano sposati da settantuno anni. John aveva ora novantasei anni. Mi strinse la mano mentre entravo nella loro piccola casa.
“Questo fucile mi ha portato qui,” spiegai loro, posizionando la custodia di plastica sul pavimento del soggiorno. Quando l’aprii, mostrando tutti i nomi scritti sull’arma, la coppia mostrò qualche soggezione. Indicai loro l’ultimo spazio disponibile. “Tu, amico mio, firmerai proprio lì,” dissi a John.
“Come hai detto che si chiama tuo zio?” chiese John ad alta voce. Era diventato un po’ sordo.
Scrissi B-I-G-G-I-O su un pezzo di carta e glielo mostrai. Annuì, ricordando il nome ma non il volto del ragazzo che si era unito alla Compagnia B solo per pochi mesi, prima di rimanere ucciso. John riprese da dove Ed aveva lasciato il racconto, descrivendomi con maggiore dettaglio la storia dell’avanzata su quella collina appena fuori Barberino a metà settembre.
“Ricordo Barberino prima di lasciare l’accampamento,” iniziò. “Alcuni dei ragazzi di origine italiana nella Compagnia ricevettero abiti civili. Il nostro comandante ordinò loro di andare in città e vedere cosa potevano scoprire.”
I soldati che parlavano italiano, principalmente da New York, Philadelphia e Boston, tornarono con qualche informazione. “Riuscirono a scoprire dove si trovavano i Tedeschi,” disse John, “e l’ultima volta che erano stati lì.”
Nella seconda settimana di settembre, la Compagnia B pattugliò un villaggio appena prima di salire sulla collina-obiettivo. “Uno degli ufficiali calpestò una mina, ferendosi gravemente,” mi disse John. Irritati dal fatto che i locali non avessero avvertito i soldati delle mine, un soldato liberò le pecore di un contadino dal loro recinto, guidandole verso il campo minato.
“Ricordo le pecore che calpestando le mine esplodevano una dopo l’altra,” mi disse John. “Ci liberarono dalla maggior parte delle mine.” Mentre John camminava tra le file di pecore morte e morenti, alcune delle quali si dibattevano ancora, senza zampe. “Era una vista inquietante, ma continuai ad avanzare. Arrivava un fuoco discontinuo d’artiglieria nemica.”
Immersa in una scena macabra prima ancora di raggiungere il suo obiettivo, la Collina 650, la Compagnia B avanzò attraverso il villaggio. Gli Americani stabilirono un posto di comando alla base della collina. C’erano già diversi ripidi sentieri fatti dagli animali che s’inerpicavano sul rilievo. “Iniziammo a salire,” disse John, “e come ti ha detto giustamente Ed, sembrava davvero un suicidio.”
Mentre salivamo la collina la vegetazione scomparve. Ogni tanto gli sparavano addosso, ma non sapevano da dove arrivasse il fuoco nemico. “Alcuni soldati in avanguardia si infiltravano, poi tornavano per informarci su dove fossero le postazioni di mitragliatrice, le trincee e gli sbarramenti di filo spinato più avanti”, disse John parlando dell’avanzata sulla collina. “Cercammo di evitare i sentieri per non dare riferimenti al nemico, ma non c’erano molte opzioni. Potevi vedere le corde appese ai lati della collina che i Tedeschi avevano usato. Finimmo per essere bloccati dal fuoco preciso dei cecchini.”
Quando il sole tramontò, la Compagnia B iniziò ad avanzare nell’oscurità, per poi ognuno di noi iniziare a scavare la propria fox-hole. Era la prima notte sulla collina. Quando il sole si alzò, la mattina successiva, il panorama non era confortante. “Gli sbarramenti di filo spinato si succedevano l’uno all’altro impedendo la risalita della collina,” ricordò John. “Oltre il filo spinato c’erano le trincee e i rifugi.”
A John fu ordinato di strisciare e di iniziare a tagliare il filo spinato con le tronchesi. Lui e un altro soldato strisciarono sulle ginocchia e sui gomiti fino alla prima fila di ‘concertina’ [un tipo di filo spinato]. Mentre iniziavano a tagliarlo, alzarono lo sguardo e videro due tedeschi in piedi sopra di loro che li osservavano. John rimase impietrito. Ma i due tedeschi non spararono; semplicemente, se ne andarono.
Gli altri soldati americani che osservavano iniziarono a fischiare e li invitarono a tornare indietro. “Sapevano che eravamo stati avvistati,” spiegò John. Appena John tornò nella sua buca una serie di copi di mortaio piovve sulla Compagnia B. Il fuoco continuò per diversi minuti. La maggior parte degli uomini era fuori dalle buche. “Ci sdraiammo a pancia in giù e pregammo,” disse John. Fu un fuoco di sbarramento intenso. “Un fuoco di mortai come nessun altro che ricordi!”
Diversi uomini rimasero feriti. Gli americani avevano un disperato bisogno essere sostenuti da un fuoco di contro-batteria, ma non arrivava. Mentre i soldati americani iniziavano a ritirarsi giù per la collina, fu chiaro che la copertura dell’artiglieria non sarebbe arrivata. Il radiotelegrafista era disteso a faccia in giù. Le schegge gli erano penetrate nella parte bassa del corpo e la radio era stata colpita. Quando gli assistenti di sanità girarono il militare essi videro che si trattava di Andy Biggio.
Mentre John continuava a ricostruire i fatti, io speravo solo che Andy fosse morto rapidamente. Le uniche persone che potrebbero aver sentito le sue ultime parole erano i membri del suo plotone intorno a lui, dopo che il fumo dei colpi si era dissipato. Ma nemmeno loro sarebbero sopravvissuti ai combattimenti dei giorni successivi.
Nella sua ultima lettera a casa, del 12 settembre 1944, Andy scrisse alla sua famiglia che si era appena offerto volontario per trasportare la radio. Andy aveva una brutta sensazione, per cui chiese a sua madre di inviargli una catenina con una croce d’oro da indossare. Disse di avere paura e di non voler salire su quelle colline appena fuori Barberino. Ma lo fece comunque.
Andy fu l’unico uomo ucciso sotto il fuoco nemico quel giorno. Mentre gli altri si appiattirono al suolo, o corsero via riuscendo a salvarsi, lui rimase in piedi, tentando d’informare via radio il comando sulla situazione delle posizioni nemiche. Fu allora che una granata di mortaio esplose dietro di lui uccidendolo.
Andy morì il 17 settembre.
La Compagnia B fece diversi altri tentativi per raggiungere la cima della collina. Alla fine riuscì a penetrare la Linea Gotica, ma il costo della vittoria fu alto. “Abbiamo subito tante perdite nelle settimane successive lassù. Alcuni ragazzi semplicemente si allontanarono, disertarono!” esclamò John. “Altri uomini rifiutavano di eseguire gli ordini. La situazione divenne brutta. La Compagnia dovette inviarci molti rimpiazzi; ma non erano fanti, erano artiglieri della contraerea e Gurkhas dall’India.”
Gli artiglieri della contraerea erano uomini che spesso restavano nelle retrovie e sorvegliavano i cieli. Non erano abituati a stare in prima linea. “Quando i combattimenti divennero corpo a corpo, chiesi a uno degli artiglieri contraerei di rimpiazzo nella buca dietro di me di tenere d’occhio d’intorno mentre ripulivo il mio fucile dal fango” disse John, facendomi capire quanto caos vi fosse in prima linea. “Ma lui non lo fece; e i Tedeschi contrattaccarono. Improvvisamente sentii che qualcuno mi stava tirando fuori dalla fox-hole. Era un tedesco che mi aveva preso per la nuca!”
Un mitragliere in una buca a cinquanta yards dietro John sparò una raffica, uccidendo il tedesco. “Giuro su Dio, se lui non avesse sparato a quel tedesco io non sarei qui. Mi avrebbero catturato o ucciso”, disse John. “Fu anche un colpo fortunato, per essere stato sparato da una mitragliatrice.” Alla fine il contrattacco fu respinto, e John maledisse l’artigliere di rimpiazzo.
Gli uomini ricevettero l’ordine di avanzare. La Compagnia B iniziò a girare a destra intorno alla collina, per evitare altro filo spinato e mine. “I tedeschi avevano una trincea a forma di U che avvolgeva la collina. Cercammo di aggirarla,” disse John.
Mentre i soldati americani tentavano di aggirare la posizione difensiva nemica, John si imbatté in una serie di buche. “Vidi un uomo in una buca. Dissi, ‘Ehi amico, sei con la Novantunesima Divisione?’ Sapevo che erano da qualche parte sul nostro lato destro.”
L’uomo girò la testa: indossava un elmetto tedesco.
“Americana! Americana!” iniziò a gridare il tedesco,” mi raccontò John, ricordando il suo errore che stava per costargli la vita. “Alzai il mio fucile e gli sparai nella buca. Il mio sergente di plotone, il sergente Hart, saltò nella buca di fianco e iniziò a pugnalare un altro tedesco.”
La Compagnia B si era infiltrata nella linee tedesche per errore, ma questa fu una benedizione sotto mentite spoglie. Appena gli Americani si riversarono nella trincea nemica, i soldati tedeschi iniziarono ad alzare le mani e a gridare, “Siamo jugoslavi! Siamo jugoslavi!” Cinquantasei tedeschi si arresero a John e al suo plotone. Magari alcuni soldati tedeschi erano veramente jugoslavi, ma gli americani avevano combattuto contro la Quarta Divisione Paracadutisti tedesca. “Potevano essere jugoslavi, ma non importava,” osservò John. “Nessuno di noi avrebbe comunque saputo qual era la differenza.”
Uno dei tedeschi condusse John presso un fienile dall’altra parte della collina, dove gli uomini dormivano e mangiavano. Il soldato nemico prese da sotto una coperta un orologio a forma di cuore e lo consegnò a John, il quale rifiutò di prendere il souvenir del prigioniero. “Mi sentii male”, aggiunse. “Era un soldato come me e probabilmente non voleva essere lì nemmeno lui. Gli lasciai tenere i suoi effetti personali.”
John e il tedesco, che avevano cercato di uccidersi pochi minuti prima, condivisero un momento in cima alla collina. “Poco dopo, un altro americano entrò nel fienile e strappò l’orologio dalle mani del tedesco” mi raccontò John. Il tedesco abbassò la testa e fu costretto a uscire dal fienile sotto la minaccia delle armi. “Mi sentii male per lui, ma non c’era nulla che potessi dire.”
I prigionieri furono condotti marciando giù dalla collina fino al comando del Battaglione. Gli Americani raccolsero le mitragliatrici nemiche che erano sparse un po’ dappertutto. Avevano subito gravi perdite, ma avevano raggiunto il loro obiettivo. “Siamo saliti su quella collina con 180 uomini,” disse John, scuotendo la testa, trattenendo le emozioni. “A ottobre eravamo rimasti in 25”.
La Linea Gotica fu finalmente penetrata. La roccaforte di Hitler in Italia crollò, ma portò con sé quanti più americani possibile. Il soldato semplice Andy Biggio fu uno di loro.
Questi erano gli ultimi pezzi del puzzle di cui avevo bisogno. Ho chiuso il fucile nella sua custodia per l’ultima volta. John fu l’ultima intervista del mio viaggio. La mia missione era compiuta. Ringraziai lui e sua moglie. Erano tristi nel vedermi ripartire.
“Spero di averti aiutato a capire un po’ meglio com’è stato,” disse John.
Cercando di mantenere la calma, tutto ciò che potei dire fu, “Lo hai fatto, John. Lo hai fatto.”

La 34a Divisione “Red Bull” conquista il Passo della Futa1

21 settembre 1944, 00:00

Proveniente da Barberino del Mugello, la 34th Divisione americana “Red Bull”, comandata dal Gen. Bolte, affianca la 6th Divisione Sudafricana, bloccata sotto Vernio dalla forte resistenza nemica. Il 21 settembre raggiunge la 810 Hill, che domina la zona. Dopo duri combattimenti contro la 334a Divisione Tedesca “Phalange Aphricaine”, al comando del Gen. Bohle, gli americani raggiungeranno il 24 settembre il valico di Montepiano, situato tra Vernio e Castiglione dei Pepoli, sulla direttrice appenninica Prato-Bologna.

L’azione della 34th verso Montepiano mira ad aggirare le difese fortificate tedesche del Passo della Futa, per poi procedere velocemente verso Bologna. Ha come obiettivo anche quello di tenere impegnate una parte delle truppe nemiche, affinché non possano accorrere nel settore d’attacco principale della 5th Armata, cioè al Passo del Giogo. Dal 12 settembre la 34th Infantry Division “Red Bull” è anche impegnata in una forte manovra diversiva sul Passo della Futa, assieme a parte della 91st Divisione del Gen. Livesay. Subirà numerose perdite a causa delle robuste difese tedesche, dovendo far credere al nemico che qui si svolge lo sforzo maggiore degli Alleati.

Il Passo della Futa sarà raggiunto e liberato dal 362nd Infantry Regiment della 34th Divisione solo nel pomeriggio del 22 settembre, una volta superata la debole resistenza di alcune pattuglie di retroguardia e quando ormai il grosso delle truppe tedesche si sarà ritirato più a nord, su una nuova linea di difesa.


1. Brano ripreso da bologna.online: https://www.bibliotecasalaborsa.it/bolognaonline/events/la_34a_divisione_americana_red_bull_raggiunge_il_valico_di_montepiano

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