Guerra ai civili. Il perché delle stragi tedesche del 1944-1945

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Riassunto dell’articolo

L’articolo ricostruisce genesi, meccanismi e impatto della violenza tedesca contro i civili nell’Italia centro-settentrionale fra l’8 settembre 1943 e il 2 maggio 1945. Muovendo dalle direttive di Bandenbekämpfung emanate dall’OKW tra agosto e dicembre 1942, si mostra come tali norme — applicate senza deroghe dopo l’Armistizio — furono centralizzate sotto il comando di Albert Kesselring, con Karl Wolff responsabile delle retrovie. Gli ordini del 17 giugno e 11 luglio 1944, che legalizzavano la rappresaglia collettiva, innescarono una sequenza di eccidi culminata nelle stragi di Vinca, Sant’Anna di Stazzema, Padule di Fucecchio, Monte Sole-Marzabotto e sul Massiccio del Grappa. Il processo Kesselring (1947) sancì per la prima volta il principio di command responsibility per omissione di controllo, ma l’ambiguità normativa rimase centrale nella giustificazione dei crimini.

L’analisi quantitativa (Commissione storico-diplomatica italo-tedesca, 2012; Atlante delle stragi) registra 3.888 episodi plurimi, 11.220 persone coinvolte e 7.322 vittime accertate — concentrate per oltre il 40 % in Toscana ed Emilia-Romagna — cui si aggiungono circa 13.000 morti di singole uccisioni. Tre le matrici operative principali: rastrellamenti antipartigiani, rappresaglie nel rapporto 1:10, stragi di evacuazione. Il ruolo delle Waffen-SS e di divisioni ideologizzate appare decisivo, mentre reparti ordinari della Wehrmacht mostrano condotte diversificate; un terzo degli eccidi maggiori vede la complicità di forze della RSI.

Il caso di Monte Sole evidenzia la saldatura fra obiettivi militari e sterminio dei civili, confermando che la violenza non fu un effetto collaterale ma una scelta strategica di “guerra alla popolazione”, resa possibile dall’intreccio fra ordini centrali, autonomia tattica e competizione ideologica. Il contributo propone infine una mappa dell’incidenza territoriale e una timeline degli ordini-chiave, offrendo un quadro sintetico ma documentato della repressione tedesca lungo la Linea Gotica.

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L’applicazione delle direttive antipartigiane dell’OKW in Italia

La dottrina di ‘lotta alle bande’ – in tedesco Bandenbekämpfun – fu codificata con la Führerweisung n. 46 del 18 agosto 1942, che autorizzava «l’impiego di una brutalità assoluta» per «l’annientamento completo» delle formazioni partigiane. Contestualmente, si garantiva l’immunità preventiva ai militari impegnati in tali operazioni[2]. Su quella base, l’OKW, il comando della Wehrmacht, emanò il 16 dicembre 1942 l’ordine «Bekämpfung von Terror- und Sabotagebänden», firmato da Wilhelm Keitel, con il quale si estendeva la responsabilità collettiva alla popolazione civile dei territori sospetti[3]. Parallelamente l’OKH pubblicò le Richtlinien für Bandenbekämpfung il 14 aprile 1943, manuale tattico per i rastrellamenti a pettine, incendi sistematici e deportazioni; nonché, poco dopo, il promemoria Merkblatt 69/2, del 6 maggio 1944, valido «per tutte le armi»[4]. La Waffen-SS, più ideologiz­zata, redasse proprie istruzioni che subordinarono le operazioni di sicurezza alle esigenze di «guerra razziale», integrando polizia d’ordine (Ordnungspolizei) e SD[5].

Dopo l’Armistizio di Cassibile (8 settembre 1943) e l’operazione Achse di occupazione della penisola da parte della Wehrmacht, l’Italia centro-settentrionale divenne zona d’operazioni permanente: i comandi tedeschi applicarono senza deroghe la normativa anti-partigiana già sperimentata sul fronte orientale, inaugurando una rapida escalation di violenza sui civili[6].

La nuova catena di comando in Italia: Kesselring e Karl Wolff

All’indomani dell’Armistizio l’assetto dei comandi tedeschi nella penisola era frammentario: i comandi militari regionali (Kommandanturen) agivano con margini di autonomia molto ampi, coordinandosi solo informalmente con lo Stato Maggiore di Roma. La svolta giunse nel maggio 1944, quando Hitler conferì a Albert Kesselring – già Oberbefehlshaber Südwest (OB Südwest) e Comandante del Gruppo d’armate C – la piena responsabilità anche della lotta antipartigiana, con facoltà di emanare ordini operativi diretti a tutte le forze di terra, aria e sicurezza dislocate in Italia[7].

In parallelo, il 13 settembre 1943, Karl Wolff fu nominato Höherer SS- und Polizeiführer Italien (HSSPF): controllava SS, Polizei e SD nelle retro-vie ma, almeno sulla carta, restava subordinato alle direttive di Kesselring per le zone d’operazioni del fronte[8]. Le due catene di comando finirono per sovrapporsi: Wolff rispondeva a Himmler per la polizia e a Kesselring per le esigenze militari. Il risultato fu una convergenza operativa, visibile soprattutto nei rastrellamenti condotti da Waffen-SS insieme a reparti della Wehrmacht.

La Repubblica Sociale Italiana (RSI) disponeva di autonomia limitata: le sue forze (Guardia Nazionale Repubblicana, Milizia) erano formalmente integrate nei piani tedeschi e spesso impiegate come truppe ausiliarie, ma le decisioni strategiche restavano prerogativa del Comando tedesco[9]. A riprova della marginalizzazione di Salò, due ampie aree furono addirittura sottratte alla RSI e poste sotto diretta amministrazione tedesca: Operationszone Alpenvorland (OZAV) – Alto Adige, Trentino, Belluno; Gauleiter Franz Hofer[10]; Operationszone Adriatisches Küstenland (OZAK) – Friuli Venezia Giulia, Istria, Lubiana; Gauleiter Friedrich Rainer[11]. Queste Operationszonen fungevano da cuscinetto logistico fra il Reich e il fronte italiano, sottraendo alla RSI le province chiave per vie di comunicazione, industrie e porti, e rafforzando di fatto la dipendenza politico-militare di Mussolini da Kesselring e Wolff.

I due ordini draconiani dell’estate 1944

Il 17 giugno 1944 il feldmaresciallo Albert Kesselring emanò le “Nuove disposizioni per la guerra antipartigiana” (Neuregelungen für den Partisanenkampf). Il testo intimava che «la lotta ai partigiani deve essere condotta con tutti i mezzi e con la massima durezza; proteggerò ogni comandante che ecceda la consueta moderazione nella scelta e nella severità dei mezzi»; era meglio «un errore di eccesso che un’omissione» e l’obiettivo restava «attaccare e distruggere i partigiani»[12]. L’11 luglio 1944 (l’ordine reca la data formale del 1° luglio, ma raggiunse i reparti tra il 10 e l’11) Kesselring tradusse in pratica la rappresaglia collettiva: “dove esistono consistenti gruppi partigiani, una quota della popolazione maschile sarà arrestata; se si verificheranno atti di violenza, questi uomini saranno fucilati. Qualunque villaggio che apra il fuoco sarà incendiato, i responsabili impiccati in pubblico”[13].

Dalla teoria alla pratica: Vinca e Monte Sole

I due inviti formali di Kesselring alla «moderazione» – 21 agosto e 24 settembre 1944 – ebbero scarso impatto operativo: tre giorni dopo il primo, fra il 24 e il 27 agosto, la 16ª Divisione SS “Reichsführer-SS” mise in atto la strage di Vinca (162 civili uccisi) sui versanti apuani del monte Sagro; quattro giorni dopo il secondo, il medesimo reparto avviò l’“Operazione Wallenstein”, culminata nel massacro di Monte Sole-Marzabotto, con il rastrellamento capillare che coprì il periodo dal 29 settembre al 5 ottobre, con il macabro risultato di 770 vittime accertate, in gran parte donne e bambini[14].

La sequenza temporale rivela che gli ordini del 17 giugno e dell’11 luglio 1944 non vennero mai ridimensionati. Le circolari diffuse in agosto e settembre – poi esibite a Norimberga come prova di ‘moderazione’ – non ebbero riflessi operativi. Nella pratica la catena di comando continuò a premiare la brutalità, ritenuta il deterrente più efficace contro l’appoggio ai partigiani[15].

Citiamo alcuni casi analoghi fuori dall’Appennino tosco-emiliano. Ad esempio, le stragi del Grappa (Veneto, 20-27 settembre 1944): reparti Gebirgsjäger e SS-Polizei fucilarono 465 partigiani e civili in vari comuni del massiccio; l’operazione fu pianificata con le stesse modalità di rastrellamento a tenaglia adottate in Apuania[16]. Così come il caso notissimo delle Fosse Ardeatine a Roma del 24 marzo 1944. Un eccidio di 335 ostaggi, ordinato da Kappler su direttiva Kesselring nel rapporto di 1:10, il quale anticipa, in forma paradigmatica, il principio di rappresaglia collettiva che verrà formalizzato negli ordini di giugno-luglio 1944[17].

Quanto invece alla disciplina italiana contro la popolazione, il Bando Graziani del 18 novembre 1943 minacciava la fucilazione immediata per renitenti e sabotatori. Tuttavia mancò di reali strumenti coercitivi finché non fu assorbito nella macchina repressiva tedesca. La divergenza resta netta. La RSI cercò di ‘militarizzare’ il conflitto civile, mentre la Wehrmacht e le Waffen-SS adottarono una prassi di terrorismo deliberato contro i civili, fondata sugli ordini di Kesselring e sul precedente Keitel[18].

Processo Kesselring e responsabilità di comando

La successione di direttive emanate da Albert Kesselring nel 1944 creò una zona di ambiguità operativa che, in pratica, offrì ai comandi subordinati mano libera nell’interpretare la Bandenbekämpfung come guerra di sterminio contro i civili. Alle circolari del 17 giugno e dell’11 luglio – che esortavano a colpire «con tutti i mezzi» e garantivano copertura preventiva ai comandanti più spietati – seguirono, il 21 agosto e il 24 settembre, richiami formali a un impiego “più misurato” della violenza. Questi ultimi, però, non furono accompagnati da meccanismi di controllo, né da sanzioni per gli abusi. Nella catena di comando che dal Gruppo d’armate C discendeva alle divisioni della Wehrmacht e delle Waffen-SS, i divieti risultarono deboli, mentre restarono in vigore le precedenti autorizzazioni alla rappresaglia indiscriminata.

Di tale contraddizione Kesselring dovette rispondere nel processo celebrato a Mestre-Venezia dal 17 febbraio al 6 maggio 1947 dinanzi a un tribunale militare britannico. L’accusa dimostrò che egli conosceva le stragi compiute dai suoi reparti – oltre cinquanta episodi di fucilazioni di ostaggi e incendi di villaggi – e che gli «inviti alla moderazione» erano rimasti lettera morta perché privi di ordini esecutivi, ispezioni o punizioni esemplari[19].

Richiamando la dottrina della command responsibility — applicata nel caso Yamashita (1945) e recepita dal Tribunale di Tokyo[20], i giudici considerarono l’omessa vigilanza un reato a sé. Kesselring fu dunque condannato alla fucilazione; la pena fu prima commutata in ergastolo, poi ridotta a ventuno anni e infine estinta, nel 1952, per “ragioni di salute»[21].

Il processo mise in luce anche il ruolo dell’Auftragstaktik nel perpetrare le stragi. Infatti, la tradizionale ‘direttiva di missione’ dell’esercito tedesco ereditata dagli insegnamenti di Clausewitz favoriva l’iniziativa brutale dei comandi di medio livello che non esitavano a uccidere in base al minimo sospetto la popolazione quando ciò era funzionale alle azioni di resistenza sul territorio a contrasto dell’avanzata alleata.

È cosa importante per gli storici e gli storici militari sapere che gli studi di Omer Bartov e Ben Shepherd suggeriscono una interpretazione dei massacri che sottolinea la spirale assassina che risucchiò l’esercito tedesco dopo il fallimento della Campagna di Russia. Tra il 1943 e il 1945, fu la combinazione di ordini contraddittori dall’alto e delle aspettative di risultato rapido sul terreno in Italia che incoraggiò ufficiali come Walter Reder o Max Simon a considerare il massacro dei civili un mezzo legittimo di controllo delle retrovie, certi della copertura politica loro garantita da Kesselring e, per la polizia, da Karl Wolff[22].

La Commissione storico-diplomatica italo-tedesca (2009-2012)

La ricostruzione delle stragi naziste in Italia ricevette un impulso decisivo con la Commissione Storico Italo-Tedesca, istituita dai ministri degli Esteri al vertice di Trieste (28 marzo 2009) con il mandato di «esaminare in comune documentazione archivistica e storiografia sulle violenze del 1943-45, proponendo piste di ricerca e iniziative di memoria»[23]. Il gruppo – dieci storici, cinque per parte, coordinati da Lutz Klinkhammer e Filippo Focardi – lavorò su fonti statuali e militari dei due Paesi, ma non aveva poteri d’inchiesta giudiziaria, né accesso illimitato ai fascicoli dei tribunali tedeschi ancora coperti da privacy: un limite che gli stessi relatori riconobbero nella prefazione del dossier finale[24]. Presentato alla Farnesina e al Ministero degli Esteri di Berlino il 19 dicembre 2012, il Rapporto confermò la «radicalizzazione» della violenza tedesca dalla tarda primavera 1944, quantificando 3.888 episodi di strage o rappresaglia, con almeno due vittime, che coinvolsero 11.220 persone, di cui 7.322 uccise; per la sola Toscana censì 3.778 civili morti[25]. L’importante documento attribuì la spirale di massacri alla combinazione di tre fattori: vicinanza del fronte, importanza strategica di certe valli per la difesa tedesca e applicazione degli ordini Kesselring-Keitel, i quali trasformarono la sicurezza delle retrovie in una vera “guerra ai civili”.

Sul piano politico il Rapporto – consegnato dai ministri Guido Westerwelle e Giulio Terzi – aprì la strada a una cooperazione memoriale: sostegno congiunto all’«Atlante delle stragi naziste e fasciste» (Insmli-Anrp) e istituzione di borse di studio bilaterali; ma non sciolse il nodo delle riparazioni, lasciato alle aule giudiziarie e alla Corte Internazionale di Giustizia.

Una “guerra ai civili”: numeri e geografia della violenza

Ridire i numeri terribili appena menzionati della ‘guerra ai civili’ negli accertamenti del Rapporto della Commissione Storico Italo-Tedesca non è ozioso. Sottolinea l’intollerabilità dell’orrore.

Regione Episodi Vittime Incidenza nazionale
Civili inermi 3.268 13.018 55 %
Partigiani catturati o disarmati 2.253 7.367 31 %
Renitenti/disertori 106 197 1 %
Altre (ostaggi politici, IMI, ecc.) ≈3.000 13 %

Tabella 1 – Tipologia delle vittime e matrici di azione.
Elab. da Atlante delle stragi naziste e fasciste, dataset 2025.

Come già illustrato nel paragrafo precedente, la Commissione ha quantificato 3.888 episodi così distribuiti.

Categoria vittime (Atlante) Episodi Persone uccise % sul totale
Emilia-Romagna 1.007 4.808 20%
Toscana 830 4.485 19%
Veneto 437 1.833 8%
Lazio 386 1.221 5%

Tabella 2 – Distribuzione geografia.

Due quinti delle vittime complessive ricadono dunque nel­l’arco Appenninico tosco-emiliano, fulcro logistico della Gotica. L’80% degli eccidi si concentra fra aprile e ottobre 1944, corrispondendo allo stallo del fronte della Linea Gotica e alla fase di massima applicazione degli ordini Kesselring. L’Atlante ne attribuisce il 45% a rastrellamenti anti-partigiani, il 28% a rappresaglie immediate nel rapporto ostaggi 1:10; il 16% a stragi di evacuazione nella ritirata tedesca, l’11% a violenza gratuita o saccheggio armato.

Ricordare nel loro dettaglio alcuni casi noti giova alle considerazioni di merito. Tra i casi più emblematici della violenza contro i civili in funzione antipartigiana spicca l’‘estate di fuoco’ nel territorio aretino, dove tra la fine di giugno e i primi di luglio 1944 vi furono in tutta la provincia una serie di azioni punitive condotte dalla 1ª Divisione corazzata “Hermann Göring”, che prefigurano, in scala locale, la successiva ondata di massacri in Versilia e sull’Appennino bolognese.

Il 27 giugno, nel borgo montano di Falzano di Cortona, una compagnia d’allarme della divisione radunò gli abitanti in una stalla, fucilò sedici uomini e bruciò i corpi con l’edificio, seguendo la prassi già sperimentata sul fronte orientale[26]. Due giorni dopo, il 29 giugno, lo stesso reparto colpì simultaneamente Civitella in Val di Chiana, Cornia e San Pancrazio di Bucine, uccidendo complessivamente 244 civili e incendiando le abitazioni[27]. All’inizio di luglio, risalendo la Val d’Ambra, i corazzati devastarono ancora Badia a Ruoti e la frazione di San Pancrazio, lasciando altre vittime e poderi distrutti[28].

In meno di dieci giorni l’Aretino registrò oltre 270 morti. Le Brigate Nere presero parte sia alle fucilazioni sia alla pianificazione dei rastrellamenti, confermando che l’operazione aveva un fine punitivo oltre che militare. Punire la popolazione traditrice per il suo allontanamento dal fascismo e dall’alleato tedesco, isolando i partigiani in modo da meglio coprire la ritirata della Wehrmacht verso la dorsale appenninica. Le carte d’operazione, reperite nel dopoguerra, parlano esplicitamente di “Strafaktionen gegen bewaffnete Banditen und deren Helfer”, azioni punitive contro “banditi” armati e i loro sostenitori, confermando l’applicazione sul terreno delle direttive diffuse da Kesselring il 17 giugno e l’11 luglio 1944.

La strage di Sant’Anna di Stazzema, l’eccidio più enorme, si consumò il 12 agosto 1944. Reparti della 16ª SS «Reichsführer-SS», affiancati dalla Brigata Nera «Benito Mussolini», annientarono la frazione versiliese uccidendo circa 560 civili, fra cui 130 bambini, dei quali furono poi incendiati i corpi per cancellarne le tracce[29].

Fra il 24 e il 27 agosto la stessa divisione SS che aveva agito a Stazzema massacrò 162 civili in sei piccole località di Vinca, sulle Alpi Apuane, facendo uso di bombe a mano contro rifugi improvvisati, incendiando sistematicamente le abitazioni[30].

L’escalation proseguì sull’Appennino bolognese: tra il 29 settembre e il 5 ottobre 1944 l’operazione «Wallenstein», condotta dal battaglione esplorante della 16ª SS sotto il comando del maggiore Walter Reder, devastò i paesi di Monte Sole-Marzabotto, lasciando 770 morti accertati, dei quali 216 minori di dodici anni. Il rastrellamento fu condotto “a pettine”, con colonne che risalivano dai fondivalle allo scopo di chiudere ogni via di fuga[31].

Negli stessi giorni, sul Massiccio del Grappa, l’operazione «Piave» – affidata a reparti di Gebirgsjäger e di polizia delle SS – comportò l’uccisione di 465 civili e la dispersione di molti corpi nelle voragini carsiche, replicando su scala alpina la logica punitiva sperimentata in Toscana ed Emilia[32]. Va infine ricordata la mattanza delle Fosse Ardeatine (24 marzo 1944), prima applicazione in Italia del rapporto ostaggi 1:10: 335 prigionieri fucilati su ordine diretto di Herbert Kappler e con l’approvazione del feldmaresciallo Kesselring, approvazione que­st’ul­ti­ma intercettata dal servizio ULTRA britannico[33].

Da questi esempi emerge una temporalità concentrata. L’acme della violenza coincide con l’arresto del fronte nell’estate-autunno 1944 e cala soltanto con l’avvio della ritirata tedesca nella primavera 1945. Gli eccidi mostrano, inoltre, un terrorismo selettivo. Molte operazioni, come quelle di Stazzema e del Padule di Fucecchio, colpiscono comunità prive di contatti armati immediati, segno che l’obiettivo è la popolazione stessa e non soltanto i combattenti. In circa un terzo dei casi documentati – Civitella, Sant’Anna, Fragheto, Grappa – si registra la complicità attiva di reparti fascisti – le Brigate Nere, il GNR – dato che corrobora la corresponsabilità dei fascisti della RSI a livello locale. L’impatto su donne e minori è particolarmente elevato. Le percentuali di vittime femminili arrivano al 24%; quelle dei minori al 17%, rivelando la volontà di spezzare la base sociale e familiare del sostegno alla Resistenza.

Cifre e micro-storie confermano così la definizione di «guerra ai civili». La violenza non fu un effetto collaterale, bensì l’esito coerente dell’interpretazione ‘al massacro’ che i comandi tedeschi – motivati dall’ideologia e coperti dalla catena gerarchica – diedero agli ordini di Kesselring, trasformando la lotta antipartigiana in un deliberato progetto di annientamento delle comunità locali. Una ferocia alla quale va la perenno condanna della storia.

Tipologia delle stragi nella «guerra ai civili»

A livello tattico, gli storici dell’«Atlante delle stragi» distinguono almeno tre matrici operative: (1) i rastrellamenti anti-partigiani propriamente detti, in cui le unità tedesche avanzano ‘a pettine’ e abbattono chiunque incontrino; (2) le rappresaglie immediate applicate con rapporti fissi di ostaggi (la regola 1:10 codificata da Kappler a Roma); (3) le cosiddette stragi di evacuazione, consumate durante il ripiegamento in cui le retroguardie sfogano il panico del contatto con gli Alleati su interi villaggi[34]. In tutti e tre i casi i bersagli sono perlopiù civili inermi: donne, anziani e bambini rappresentano, rispettivamente, circa il 24 % e il 17 % delle vittime totali registrate dal 1943 al 1945[35], segno che la funzione di queste azioni era prima di tutto intimidatoria e punitiva[36], volta a «disarticolare il tessuto di sostegno logistico alla Resistenza», come osserva Pezzino, più che a colpire nuclei combattenti specifici[37].

Non sorprende, allora, che numerosi eccidi «repressivi» – da Sant’An­na di Stazzema al Padule di Fucecchio – avvengano in assenza di scontri diretti. La rappresaglia precede, e non segue, l’azione partigiana, trasformandosi in strumento deliberato di terrore di massa. Nei rastrellamenti toscani ed emiliani circa un terzo degli eccidi vide anche le Brigate Nere o la GNR: un coinvolgimento che sancisce la corresponsabilità fascista nella “guerra ai civili”[38].

In definitiva, l’evidenza archivistica converge sul fatto che la violenza antiribelle, lungi dall’essere un sottoprodotto caotico degli scontri di retrovia, fu parte integrante della dottrina operativa tedesca in Italia, modulata secondo le esigenze locali ma sempre funzionale a fiaccare, attraverso il terrore, la capacità di resistenza delle comunità montane e rurali[39].

Differenziazione tra reparti e catena di comando

Le fonti archivistiche e la letteratura più recente convergono nel mostrare come la ricezione degli ordini draconiani di Kesselring non fosse uniforme. La propensione a trasformarli in violenza di massa variava sensibilmente da un’unità all’altra e dipendeva sia dal grado di autonomia tattica concesso ai comandanti sia dal livello di permeazione ideologica delle truppe.

Studi comparativi sulla condotta delle divisioni tedesche in Italia confermano che reparti altamente politicizzati – in particolare le Waffen-SS e alcune grandi unità della Luftwaffe convertite alla fanteria – adottarono sistematicamente la dottrina del ‘terrore preventivo’, mentre divisioni di fanteria territoriale, pur coinvolte in numerosi episodi, mostrarono in media una minore propensione a colpire indiscriminatamente i civili, limitandosi talvolta a forme di repressione mirata o a requisizioni forzate senza annientamento della comunità[40].

Il nesso fra coinvolgimento ideologico e grado di ferocia risulta evidente se si analizzano le principali stragi dell’Italia centrale nel 1944. La 1ª Divisione corazzata “Hermann Göring”, inquadrata nella Luftwaffe ma permeata di ethos nazionalsocialista, fu responsabile dell’eccidio di Vallucciole del 13 aprile 1944, dove sedici famiglie furono sterminate e le abitazioni incendiate lungo il crinale di Castagno d’Andrea[41] sull’Appenino.

La 26ª Divisione corazzata SS, trasferita dal fronte orientale in Versilia, lasciò la propria impronta nel Padule di Fucecchio il 23 agosto 1944, dove 174 civili, prevalentemente donne e anziani sorpresi durante la mietitura, furono rastrellati e fucilati nel bacino palustre per creare «un esempio duraturo», come fu detto nella sentenza Pfeiffer del 1951[42].

Ancora più brutale fu la condotta della 16ª Divisione motorizzata Waffen-SS “Reichsführer-SS”, che tra il 24 e il 27 agosto massacrò 162 persone nelle borgate di Vinca e, poco più di un mese dopo, attuò l’ope­razione «Wallenstein» a Monte Sole-Marzabotto tra il 29 settembre e il 5 ottobre 1944, costata la vita a 770 civili, di cui oltre 200 bambini[43].

Gli studi sulla catena di comando mostrano che la violenza «a gradini» scaturì da due spinte convergenti: l’Auftragstaktik, che lasciava ai comandanti di battaglione ampia libertà di azione, e la competizione fra Waffen-SS e Wehrmacht per dimostrarsi più risolute agli occhi del vertice nazista. In tale contesto, i richiami formali alla moderazione restarono lettera morta. L’onorificenza sul campo, il timore di perdere prestigio e l’adesione a un’ideologia di guerra totale spinsero le unità più radicalizzate a scegliere deliberatamente il massacro come strumento di controllo territoriale[44].

L’orrore, alimentato dalla guerra ormai perduta, sarebbe rimasto per la Germania nazista un marchio d’infamia.

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Note al testo

[1] Il testo costituisce un approfondimento di quanto posto in luce sulle stragi intorno alla Linea Gotica da F. Cravarezza, T. Cravarezza, Le grandi battaglie della Linea Gotica, Torino, Edizioni del Capricorno, 2018, pp. 139-143.
[2] A. Hitler, «Weisung Nr. 46, Anweisung für verstärkte Bandenbekämpfung im Osten», 18 agosto 1942, in H. Trevor-Roper (a cura di), Hitler’s War Directives 1939-1945, London, Sidgwick & Jackson, 1964, pp. 182-185.
[3] W. Keitel, «Anordnung betreffend die Bekämpfung von Terror- und Sabotagebänden», 16 dic 1942, in Trials of War Criminals before the Nuremberg Military Tribunals, vol. III, Washington DC, Government Printing Office, 1951, pp. 110-112.
[4] Richtlinien für Bandenbekämpfung, OKH, 14 apr 1943, Bundesarchiv-Militärarchiv, RH 26-281/10; Merkblatt 69/2. Bandenbekämpfung (gültig für alle Waffen), OKW, 6 maggio 1944, Bundesarchiv, RW 4/1342.

[5] B. H. Shepherd, Hitler’s Soldiers. The German Army in the Third Reich, New Haven, Yale University Press, 2016, pp. 303-310.
[6] G. Schreiber, Deutsche Kriegsverbrechen in Italien. Täter – Opfer – Strafverfolgung, München, C. H. Beck, 1996, pp. 25-40.
[7] Cfr. K. Macksey, Kesselring: The Making of the Luftwaffe, London, Greenhill Books, 1996.
[8] Cfr. J. von Lang, Top Nazi: SS General Karl Wolff. The Man Between Hitler & Himmler, New York, Enigma Books, 2005; N. Reynolds, «Karl Wolff: Peacemaker, Mass Murderer, or Both?», HistoryNet, 28 gennaio 2022.
[9] Cfr. Italian Social Republic, lemma Wikipedia (consultato maggio 2025).
[10] Cfr. Operational Zone of the Alpine Foothills, lemma Wikipedia (consultato maggio 2025).
[11] Cfr. Operational Zone of the Adriatic Littoral, lemma Wikipedia (consultato maggio 2025).
[12] Law Reports of Trials of War Criminals, vol. VIII, “The Trial of Albert Kesselring”, London, HMSO, 1949.
[13] Ibidem, ordine diramato 1/11 lug 1944 («dove vi siano considerevoli gruppi partigiani…»).
[14] Cfr. per tutti M. Pluviano, M. Rossi, Vinca 1944. Un eccidio tra storia e memoria, Pisa, BFS Edizioni, 2005 (cfr.); L. Baldissara, P. Pezzino, Il massacro. Guerra ai civili a Monte Sole, Bologna, Il Mulino, 2009. Per il profilo operativo della 16ª SS vedi A. Donati, Le SS in Italia. 1943-1945, Marsilio, 2015, capp. 4-5.
[15] Cfr. Law Reports of Trials of War Criminals, vol. VIII, “The Trial of Albert Kesselring”, London, HMSO, 1949. Per un’analisi della Bandenbekämpfung in Italia centrale leggi L. Klinkhammer, Stragi naziste in Italia. La guerra contro i civili (1943-44), Laterza, 1993, in part. pp. 71-85.
[16] Da leggere in questo senso G. Pieropan, Grappa 1944: la battaglia e le stragi, Vicenza, Cierre Edizioni, 2004.
[17] Per tutti rimando a A. Portelli, L’ordine è già stato eseguito. Roma, le Fosse Ardeatine, la memoria, Roma, Donzelli, 1999.
[18] Sul Bando Graziani per tutti R. De Felice, Mussolini l’alleato. La guerra civile (1943-45), Torino, Einaudi, 1997.
[19] Law Reports of Trials of War Criminals, vol. VIII, “The Trial of Albert Kesselring”, London, HMSO, 1949, cfr. atto d’accusa e sentenza.
[20] Per lo sviluppo del principio da Yamashita a Roma vedi P. Gaeta, Command Responsibility in International Criminal Law, Padova, CUP, 2009, pp. 65-78.
[21] R. Overy, Interrogations. The Nazi Elite in Allied Hands, 1945, London, Allen Lane, 2001 (cfr. sul dibattito britannico); T. Taylor, Anatomy of the Nuremberg Trials, New York, Knopf, 1992 (cfr. sulla command responsibility).
[22] O. Bartov, Hitler’s Army, Oxford, Oxford University Press, 1991; Shepherd, Hitler’s Soldiers, cit.
[23] Ministero degli Esteri tedesco, sezione “Cultura della memoria”, scheda sulla Commissione storica, 2025 (ultimo accesso maggio 2025).
[24] Vedi preliminarmente Rapporto finale della Commissione storico italo-tedesca sui crimini di guerra 1943-45, Roma-Berlino, 2012, premessa degli autori.
[25] Ibidem; vedi anche comunicato MAECI, «Presentazione del Rapporto», 19 dicembre 2012.
[26] F. Frignani (a cura di), Falzano di Cortona. 27 giugno 1944, Arezzo, ETS, 2004.
[27] C. Gentile, «Le stragi di Civitella, Cornia e San Pancrazio», in Passato e presente, n. 92 (2014), cfr.; sentenza Trib. Mil. La Spezia, 10 ottobre 2006 («Civitella case»).
[28] Banca dati Atlante delle stragi naziste e fasciste in Italia, schede n. 2037 (Badia a Ruoti) e 2040 (San Pancrazio), https://www.straginazifasciste.it, ultimo accesso maggio 2025.
[29] P. Pezzino, Sant’Anna di Stazzema. 12 agosto 1944, Bologna, Il Mulino, 1997.
[30] Pluviano, Rossi, Vinca 1944, cit.
[31] Baldissara, Pezzino, Il massacro, cit.
[32] Pieropan, Grappa 1944, cit.
[33] Portelli, L’ordine è già stato eseguito, cit.
[34] Atlante delle stragi naziste e fasciste in Italia, https://www.straginazifasciste.it (consultato maggio 2025), criteri di classificazione degli eventi.
[35] Ibidem, “Classificazione vittime – estrazione maggio 2025”.
[36] Vedi in questo senso, per la violenza sistemica e la tipologia delle stragi, Bartov, Hitler’s Army, cit., pp. 156-167.
[37] P. Pezzino, L. Baldissara, «Violenza di guerra e stragi sui civili», in Italia contemporanea, n. 281, 2016.
[38] Cfr. G. Guelfi, Il Padule di Fucecchio. Storia di una strage impunita, Firenze, Giunti, 2013, cfr.; Pezzino, Sant’Anna di Stazzema, cit.
[39] Shepherd, Hitler’s Soldiers, cit., cfr. chap. 10 (Italy, 1943-45).
[40] Shepherd, Hitler’s Soldiers, cit.
[41] D. Magnani, Vallucciole 1944. Una strage in Casentino, Firenze, Aska, 2014.
[42] Guelfi, Il Padule di Fucecchio, cit. Da leggere anche l’autodifesa dell’ufficiale tedesco di W. Reder, La mia verità, cit., pp. 103-110.
[43] Baldissara, Pezzino, Il massacro, cit.

[44] C. Gentile, I crimini di guerra tedeschi in Italia 1943-45. Una bibliografia ragionata, Pisa, Pacini, 2015; Bartov, Hitler’s Army, cit.

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Bibliografia citata

Fonti primarie

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  • Ministero degli Esteri tedesco, sezione “Cultura della memoria”, scheda sulla Commissione storica, 2025.
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  • Trials of War Criminals before the Nuremberg Military Tribunals, vol. III, Washington DC, Government Printing Office, 1951.

Studi

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  • Bartov, Hitler’s Army, Oxford, Oxford University Press, 1991.
  • Cravarezza, T. Cravarezza, Le grandi battaglie della Linea Gotica, Torino, Edizioni del Capricorno, 2018.
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  • B. H. Shepherd, Hitler’s Soldiers. The German Army in the Third Reich, New Haven, Yale University Press, 2016.
  • G. Schreiber, Deutsche Kriegsverbrechen in Italien. Täter – Opfer – Strafverfolgung, München, C. H. Beck, 1996.
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Internet

  • Italian Social Republic, lemma Wikipedia.
  • Operational Zone of the Alpine Foothills, lemma Wikipedia.
  • Operational Zone of the Adriatic Littoral, lemma Wikipedia.
  • Banca dati Atlante delle stragi naziste e fasciste in Italia, schede n. 2037 (Badia a Ruoti) e 2040 (San Pancrazio), https://www.straginazifasciste.it.
  • 11
  • Atlante delle Stragi
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