la redazione
I francesi, alleati di un esercito coloniale
Nel giugno del 1944, mentre la Toscana si preparava a liberarsi dal giogo nazifascista, a marciare sulle sue strade non furono solo americani e britannici. Accanto alle truppe angloamericane, infatti, si muoveva un corpo d’armata alleato tanto efficace quanto poco conosciuto: il Corps Expéditionnaire Français en Italie (CEF), un’unità dell’esercito francese composta in larga parte da truppe coloniali originarie del Marocco, dell’Algeria e della Tunisia. Tra questi spiccavano i cosiddetti goumiers, soldati irregolari provenienti dalle regioni montuose dell’Atlante, il cui aspetto esotico, la tenacia in battaglia e — in molti casi — la brutalità fuori dal combattimento, lasciarono una traccia indelebile, e spesso dolorosa, nella memoria delle popolazioni italiane.
Dopo l’armistizio tra l’Italia e gli Alleati (8 settembre 1943) e l’inizio della risalita della penisola da sud, la Francia libera di Charles de Gaulle vide nella campagna d’Italia un’occasione per riaffermare la propria legittimità tra le potenze vincitrici, dopo l’onta dell’armistizio del 1940 firmato dal regime di Vichy con la Germania nazista. Tuttavia, la Francia metropolitana era ancora occupata, e l’unico serbatoio umano disponibile era rappresentato dai territori d’oltremare. Proprio nel Nord Africa francese, da poco liberato grazie allo sbarco angloamericano in Algeria e Marocco (Operazione Torch, novembre 1942)1 , venne avviata una massiccia opera di reclutamento coloniale per ricostituire un esercito francese in grado di combattere a fianco degli Alleati.
Nel 1943 venne quindi costituito ufficialmente il Corps Expéditionnaire Français en Italie, sotto il comando del generale Alphonse Juin2, esperto ufficiale coloniale, già residente generale del Marocco. Il CEF era parte integrante della V Armata statunitense (Fifth Army), guidata dal generale Mark W. Clark, e venne impiegato come corpo alleato in coordinamento con le truppe angloamericane, ma con autonomia tattica e comando nazionale francese.
Chi erano i goumier e perché combattevano
Il termine goumier deriva dal sostantivo arabo qawm, che significa “gruppo” o “clan”. I goumiers erano originari in prevalenza dell’Atlante marocchino e reclutati in gruppi coesi, spesso composti da membri della stessa tribù o famiglia. La loro organizzazione prevedeva unità chiamate goums (circa 200 uomini ciascuna), riuniti in tabors, equivalenti a reggimenti. A differenza delle truppe coloniali regolari come i tirailleurs (fanteria) o gli spahis (cavalleria), i goumiers erano considerati truppe irregolari e “da montagna”, specializzate in incursioni, aggiramenti e combattimenti in zone impervie.
Vestivano djellaba, turbante e koumya (il tradizionale pugnale ricurvo), anche se nel tempo si dotarono di elmetti alla Brodie e scarponi d’ordinanza. I loro ufficiali erano tutti francesi, ma molti sottufficiali erano pieds-noirs o troncs de figuier, ossia europei nati in Nord Africa e bilingue, spesso legati ai reparti da relazioni personali più che da gerarchia3 .
Il CEF era composto da oltre 112.000 uomini, di cui più della metà erano africani: marocchini, algerini, tunisini e senegalesi. I reparti si dividevano in truppe regolari, come i tirailleurs nordafricani, e irregolari, come i goumiers marocchini, strutturati in unità chiamate goums (compagnie di circa 200 uomini) che, a loro volta, formavano tabors (battaglioni di 800-1.000 uomini)4. I goumiers venivano reclutati nelle regioni montuose del Medio e Alto Atlante, spesso tra comunità berbere ancora marginali rispetto al potere centrale coloniale. La loro lealtà era più rivolta al proprio caïd (capo tribale) o al capo-goum, che fungeva sia da comandante militare che da garante personale, piuttosto che a un’astratta autorità statale5. Il reclutamento avveniva tramite incentivi economici, beni materiali e — in molti casi — promesse di riconoscimento sociale. La disciplina era rigida, ma personale: basata sul timore reverenziale del comandante più che su regolamenti.
La loro divisa comprendeva spesso una djellaba (veste di lana grezza), turbante, sandali e l’inseparabile koumya, il pugnale ricurvo tipico dei berberi. Soltanto in Italia vennero dotati di scarponi d’ordinanza e elmetti britannici tipo Brodie per migliorarne la protezione e uniformarne l’aspetto. In combattimento erano abili, flessibili, silenziosi, capaci di affrontare marce notturne e rapide incursioni in territori ostili — caratteristiche molto apprezzate dai comandi alleati, soprattutto nel teatro appenninico.
Il coinvolgimento dei goumiers nella guerra europea era tutt’altro che scontato. Molti di essi non avevano mai visto Parigi, né conoscevano il francese. Lottavano per un Paese colonizzatore che li considerava, nei fatti, cittadini di seconda classe. Tuttavia, le ragioni del loro impiego risiedevano nella lunga tradizione di servizio coloniale dell’esercito francese, che sin dalla fine dell’Ottocento aveva impiegato truppe indigene in quasi tutti i teatri imperiali (dalla Siria al Tonchino) e nella logica coloniale della reciprocità: combatti per la Francia, e in cambio riceverai protezione, stipendio, forse la cittadinanza.
Per la Francia libera, impiegare le truppe indigene nella campagna d’Italia era anche una necessità strategica. Come scrive lo storico Eric Jennings, “la Francia fu l’unica potenza coloniale a rientrare nel conflitto europeo armando le sue colonie”6. Il CEF divenne così la principale risorsa militare della Francia gaullista fino al 1944, e il suo successo sarebbe stato fondamentale per ottenere un ruolo nella futura divisione postbellica dell’Europa.
Per i goumiers, tuttavia, le motivazioni erano più concrete: stipendi regolari, accesso al cibo, bottino di guerra (che in certi casi si trasformò in razzia), e il prestigio personale o tribale. Alcuni erano mossi da una forma di lealtà verso il proprio comandante o da spirito guerriero; altri furono semplicemente arruolati con la forza.
L’arrivo dei goumiers in Toscana
Sbarcato a Napoli nel dicembre 1943, il Corps Expéditionnaire Français en Italie (CEF) venne subito impegnato nella cruciale battaglia di Montecassino. In particolare, fu il contributo dei goumiers marocchini, elementi di fanteria leggera altamente mobili, a fare la differenza nell’attacco ai monti Aurunci, posizioni difficili che proteggevano la linea Gustav sul versante sud del fronte italiano. Nella notte tra il 14 e il 15 maggio 1944, i goumiers compirono un audace movimento di aggiramento, penetrando in un tratto di terreno ritenuto impraticabile. La mossa sorprese le difese tedesche e costrinse il nemico a ritirarsi, consentendo alla XIII Divisione britannica di avanzare nella valle del Liri e ai reparti polacchi di guadagnare terreno su Montecassino. Il generale Mark Clark riconobbe questo successo come cruciale, citandolo nella sua autobiografia come uno dei momenti determinanti nella rottura della linea Gustav7.
Dopo lo sfondamento, Clark decise di impiegare il CEF lungo la direttrice tra la costa e la Val d’Orcia, un percorso impervio privo di vie carrabili. Qui la III Divisione algerina al comando del generale Joseph de Goislard de Monsabert, in sinergia con i goumiers, avanzò lungo vie secondarie e mulattiere, aggirando i capisaldi tedeschi sul fianco. La scelta cadde su questa zona proprio per le sue caratteristiche topografiche: perfetta per unità leggere e mobili capaci di sfruttare la sorpresa tattica8.
Dopo Montecassino, ebbri del successo, ai goumiers venne contestata una vera e propria serie di crimini di guerra, noti in Italia come marocchinate. Nella Ciociaria (Sud Lazio) – in comuni come Esperia, Pontecorvo, Ausonia – si hanno testimonianze agghiaccianti: massacri, stupri di massa, saccheggi. Il sindaco di Esperia dichiarò che 700 donne su 2.500 abitanti furono violentate, molte fino alla morte9. Secondo alcune fonti, le vittime potevano superare le 60.000 tra il Lazio e l’alta Toscana9.
La propaganda tedesca tentò di presentare i goumiers come “incursori in borghese”, accusandoli di aver ricevuto «via libera» per uccidere e saccheggiare. Tuttavia, storici moderni come Douglas Porch definiscono la manovra nel maggio 1944 «uno dei più brillanti e audaci avanzamenti della guerra in Italia»10. Il generale tedesco Kesselring, nelle sue memorie, riconobbe che il CEF rappresentava una minaccia unica, soprattutto grazie alla mobilità notturna e la capacità di attacco concentrato su terreni a bassa intensità infrastrutturale11.
Le ‘marocchinate’ nel senese
Quando i goumiers entrarono nei centri abitati senesi, l’accoglienza fu tutt’altro che calorosa. La popolazione, stremata da mesi di guerra, si aspettava i “liberatori” americani, con i loro visi familiari, le jeep stellate, il cioccolato e le sigarette. Invece, videro giungere uomini dai tratti sconosciuti, spesso scalzi, con lunghi coltelli ricurvi alla cintura e abiti esotici, dai modi bruschi e sguardi diffidenti. In molti casi, il primo contatto fu traumatico: a Montalcino, Poggibonsi, Abbadia San Salvatore, Colle Val d’Elsa, Murlo, San Quirico d’Orcia, le truppe francesi si resero responsabili di una lunga serie di violenze, abusi sessuali e saccheggi.
Il terrore precedeva l’arrivo delle truppe coloniali, alimentato dai racconti provenienti dalla Ciociaria, dove interi villaggi erano stati devastati e centinaia di donne violentate. Secondo stime dell’Associazione Nazionale Vittime delle Marocchinate, oltre 20.000 casi sarebbero avvenuti nel solo Lazio12, e i racconti si erano diffusi lungo la penisola, portando le famiglie toscane a nascondere le donne più giovani nelle cantine o nei fienili all’approssimarsi delle truppe alleate. In più di un caso, furono i parroci locali o i medici condotti a dover trattare le conseguenze degli abusi, in segreto.
Il termine marocchinate, nato nel Lazio, è ormai entrato nel lessico storico per designare gli stupri di massa perpetrati da alcuni reparti coloniali francesi nella primavera-estate del 1944. Il Senese non fece eccezione. Secondo testimonianze raccolte dai partigiani della formazione Spartaco Lavagnini, ad Abbadia San Salvatore furono violentate oltre 60 donne, e anche alcuni uomini, senza riguardo per età o condizione. Episodi simili avvennero a San Quirico, Casole d’Elsa, Monteriggioni, Casciano di Murlo, Colle, Poggibonsi, e Monticiano13.
Gli stupri, oltre che atti di violenza brutale, assolvevano anche a una funzione simbolica: servivano a umiliare la comunità, imporsi sul territorio e rompere la resistenza morale del nemico. Come ha osservato la storica Maria Oliveri, nella guerra coloniale il corpo delle donne viene usato come «campo di battaglia simbolico», su cui si imprimono i segni della dominazione14. In questo senso, i goumiers non agirono in modo “anarchico”, ma secondo una logica di dominio tribale e militare che era spesso tacitamente tollerata — se non incentivata — da comandanti poco inclini al controllo disciplinare15.
Il numero esatto delle vittime è difficile da determinare: molte non denunciarono per vergogna o paura, altre furono costrette al silenzio da una comunità che tendeva a colpevolizzare chi aveva subito violenza. Alcuni storici ipotizzano che il totale dei casi nel solo Senese possa superare il centinaio, anche se la storiografia ufficiale tende ancora a minimizzare16.
Il problema della vergogna fu probabilmente il più ostinato e duraturo. In molte realtà rurali, le donne abusate vennero escluse socialmente, considerate “disonorate”, talvolta allontanate dalle famiglie stesse. Alcune finirono in ospedali psichiatrici, altre si suicidarono, altre ancora accettarono di tacere per proteggere la propria reputazione e quella dei familiari. Come testimoniato in molte cause di risarcimento, negli anni Cinquanta si chiedeva alle vittime di dimostrare la propria “moralità” per poter essere ascoltate: un’ulteriore violenza istituzionale, che consolidò il silenzio17.
Fucilazioni e silenzi
Le proteste dei partigiani, dei sindaci e dei comandi alleati giunsero ai vertici militari. Gli americani, indignati dalle segnalazioni, chiesero formalmente ai francesi di intervenire energicamente per fermare gli stupri e le violenze dei goumiers. All’inizio, il generale Augustin Guillaume minimizzò l’accaduto, liquidando gli abusi come episodi isolati attribuibili agli addetti alla retroguardia e non ai combattenti sul campo. Tuttavia, sotto la pressione americana, delle autorità civili italiane e del Vaticano — che arrivò persino a denunciare gli abusi in udienza pontificia — Guillaume fu costretto a ricorrere a misure drastiche18.
Uno dei casi più celebri e documentati avvenne a Casal di Pari: cinque goumiers vennero colti in flagrante mentre stavano abusando di donne locali. Per ordine diretto del generale Guillaume, furono fucilati sul posto, i loro corpi esposti in piazza come monito deterrente alla comunità e agli altri soldati. In questo modo si volle ristabilire una parvenza di disciplina militare. Ma la punizione rimase di fatto un caso isolato e non scalfì la sequenza di violenze che continuarono per settimane19.
Fucilazioni furono attuate in pochi casi. Secondo fonti militari francesi, circa 156 soldati furono condannati per violenze sessuali durante la campagna d’Italia, di cui 3 avviati alla pena capitale; oltre 360 furono invece processati in tribunali militari, con pene che variarono dai lavori forzati a vita a pene detentive20.
Nonostante le punizioni sommarie inflitte da alcuni ufficiali sul posto, non furono mai avviati processi regolari in rispetto del diritto militare internazionale. Confermando che in guerra ogni cosa è permessa. Nessuna giustizia fu garantita. Le vittime lasciate a loro stesse, i testimoni scoraggiati, e molte denunce rimasero ‘atti interni’ privi di seguito. La memoria pubblica, all’epoca dei fatti, preferì archiviare gli avvenimenti classificandoli semplice “scorrettezza militare”.
Il 15 agosto 1944, il CEF venne richiamato per partecipare allo sbarco in Provenza (Operation Dragoon). Resta in dubbio che a tale spostamento possa aver contribuito l’opportunità di allontanare i reparti incriminati dalle polemiche italiane e dal clamore internazionale21. Certamente, da un punto di vista politico i fatti ignobili dei goumiers in Italia non giovarono alla reputazione diplomatica della Francia di fronte alle autorità alleate e al Vaticano.
Una memoria scomoda
La memoria dei goumiers rimane ambivalente. Da un lato furono soldati valorosi, fondamentali per la vittoria alleata in Italia, e subirono pesanti perdite (quasi il 30 % di effettivi nella campagna italiana); dall’altro, i crimini commessi da alcuni di loro macchiarono irrimediabilmente la loro immagine22. In Italia, la loro immagine è rimasta positiva in molti luoghi, a partire dal ricordo delle celebrazioni di Montecassino e di Firenze, dove i soldati vennero considerati liberatori e furono invitati successivamente alle feste locali, scambiando pacchi e doni23. Ricordi familiari raccontano che la gente con la liberazione incoronò i goumiers con ghirlande di fiori, a testimonianza del sollievo per la fine dell’incubo nazista, tanto che molte comunità senesi includono oggi racconti e presenze dei goumiers nei memoriali pubblici sulla liberazione24.
In Francia, il coinvolgimento delle truppe coloniali fu a lungo ignorato. La storiografia francese fino agli anni 2000 ha privilegiato la narrazione dell’eroismo parigino, relegando le truppe del Nord Africa a un contributo residuale e privo di protagonismo25. E’ stato soltanto grazi agli studi post-coloniali, come quelli di Julie Le Gac, che l’attenzione è andata alla centralità del CEF e al trauma inflitto alle popolazioni italiane, stimolando questi studi l’inserimento di tali vicende nei testi scolastici dal 2015 in poi26. Una piccola rivoluzione.
In Italia, invece, le marocchinate restano un tema tabù. La storiografia resistenziale, attenta al racconto “liberatori vs. oppressori”, ha faticato a includere nella valutazione della liberazione la storia di queste violenze sistematiche. Solo testi recenti, come La memoria scomoda della guerra di Stefania Catallo (2017), con interviste dirette alle vittime, e Le marocchinate. Un argomento di antropologia culturale di Margherita Merone (2023), hanno smosso il silenzio e condotto le storie degli abusi e delle violenze sulle donne e sui civili in in primo piano[⁵].
Tuttavia, ancora, nelle cerimonie ufficiali, nei monumenti e nei programmi annuali della Resistenza, il dramma vissuto ad Abbadia San Salvatore, Casciano di Murlo o Casole d’Elsa non è testimoniato a dovere; mentre altresì si investe sul ricordo eroico del Corpo coloniale francese. La memoria è selettiva. Purtroppo.
Note
1. L’Operazione Torch (8 novembre 1942) fu lo sbarco alleato in Marocco e Algeria che mise fine al regime di Vichy in Nord Africa e permise il controllo angloamericano dell’intera area.
2. Alphonse Juin (1888–1967) fu uno dei più noti generali francesi del XX secolo, primo comandante coloniale a ottenere il grado di Maresciallo di Francia nel dopoguerra.
3. Cfr. P. Gaujac, Le corps expéditionnaire français en Italie 1943-1944. Paris, Histoire & Collections, 2003, pp. 31–34.
4. Un tabor era composto da 3–4 goums, ciascuno di circa 200 uomini, per un totale medio di 800–1.000 soldati. Ogni gruppo aveva propri ufficiali e personale logistico, e operava in modo semi-indipendente.
5. Questa struttura relazionale era simile a quella delle milizie coloniali tedesche nell’Africa orientale tedesca o alle irregolarità dei askari italiani. Cfr. P. Gaujac, Le corps expéditionnaire français, cit., pp. 9–22.
6. E.T. Jennings, Free French Africa in World War II: The African Resistance, Cambridge University Press, 2015, p. 189.
7. M.W. Clark, Calculations of Close Combat, autobiografia, citata in French Expeditionary Corps (1943–44), Wikipedia, sezione “Breaking of the Gustav Line” (Maggio 1944).
8. French Expeditionary Corps (1943–44), Wikipedia, sez. “Breaking of the Gustav Line”; citazione di Clark su acquisto di Monte Maio e Mt. Girofano.
9. Marocchinate, Wikipedia EN, testate su Esperia; sindaco riportava 700 vittime su 2.500 ab. French Expeditionary Corps…, sezione “Breaking of the Gustav Line” – parla di 60.000 donne violentate su Lazio e Toscana.
10. D. Porch, Resistance and Liberation: Triumph and Dishonor in Italy, Cambridge University Press, 2024.
11. Moroccan Goumier, Wikipedia, citazione del generale Kesselring e dati su 10.000 goumiers impiegati e 3.000 perdite subite.
12. M. Oliveri, Il silenzio (e la vergogna) sulle ciociare di Sicilia: che cosa furono le “marocchinate”, Balarm, 31 agosto 2023.
13. Associazione Nazionale Vittime delle Marocchinate, dati raccolti e pubblicati in audizione alla Commissione Difesa della Camera dei Deputati, aprile 2016.
14. M. Luccioli, D. Sabatini, La ciociara e le altre. Il corpo di spedizione francese in Italia, Roma, Tusculum, 1998, pp. 88–90.
15. G. Gribaudi, Guerra totale. Tra bombe alleate e violenze naziste. Napoli e il fronte meridionale 1940–1944, Torino, Bollati Boringhieri, 2005, pp. 185–192.
16. Wikipedia, voce Maria Michetti, sez. “Marocchinate”, con rimandi a cause di risarcimento tra 1950–1996.
17. S. Olmi, Le marocchinate: quella storia dimenticata delle donne italiane violentate nel 1944, CulturaIdentità, 13 ottobre 2023.
18. P. Gaujac, Le corps expéditionnaire français en Italie 1943–1944, pp. 44–45; conferma in A. Orlandini, G. Venturini, I giudici e la Resistenza… il caso Siena, pp. 14–15.
19. Wikipedia EN, voce French Expeditionary Corps (1943–44), sez. “Triumph and disgrace” sulla punizione e i crimini dei goumiers.
20. Idem, sez. “Order of battle” sul ritiro in Provenza.
21. Chemins de mémoire, “The landings and battle of Provence”: conferma ruolo strategico del trasferimento il 15 agosto 1944.
22. Testimonianza orale raccolta nel progetto “Liberatori o predatori? Radicofani ricorda i Goumiers” (Comune di Radicofani 2024).
23. Mappa delle lapidi della Liberazione, Comune di Poggibonsi, consultata 2025.
24. M. Carrattieri, M. Flores (a cura di), La Resistenza in Italia. Storia, memoria, storiografia, goWare, 2018, p. 212.
25. J. Le Gac, Les goumiers marocains en Italie (1943–44): mémoire oubliée, Paris, Éditions de l’École des Hautes Études en Sciences Sociales, 2016.
26. S. Catallo, La memoria scomoda della guerra. Le marocchinate, Universitalia, Roma 2017; M. Merone, Le marocchinate. Un argomento di antropologia culturale, StreetLib, 2023.