Premessa
Offriamo qui una panoramica dei principali eventi che segnarono l’Italia durante la Seconda Guerra Mondiale, dall’autunno del 1943 alla primavera del 1945. In questi diciotto mesi di conflitto, il paese fu teatro di scontri brutali, particolarmente significativi nei principali fronti di battaglia. Per quanto ci riguarda, l’attenzione è rivolta soprattutto ai territori della Toscana e dell’Appennino Emiliano-Tosco-Romagnolo, lungo i quali si snodava la Linea Gotica. Questa imponente linea difensiva, voluta da Hitler, fu progettata per rallentare l’avanzata degli Alleati verso il nord, dopo lo sbarco in Sicilia e l’armistizio di Cassibile.
Gli Alleati, impegnati a liberare l’Italia dall’occupazione nazifascista e dal giogo totalitario, combatterono duramente contro la Wehrmacht (e contro gli alleati fascisti della RSI) per oltre 1200 km, da Agrigento a Bologna trasformando il paese in un grande campo di battaglia. Durante la Campagna d’Italia le perdite umane furono ingenti, coinvolgendo sia forze militari che civili su entrambi i fronti. Sul versante degli Alleati, si stima che tra il 1943 e il 1945 vi furono tra 60.000 e 70.000 soldati uccisi, con un totale di circa 330.000 vittime tra feriti, dispersi e prigionieri. Il Commonwealth britannico registrò circa 45.550 morti.
Le forze tedesche persero tra 38.000 e 50.000 soldati, con oltre 330.000 vittime totali tra morti, feriti e prigionieri. Per quanto riguarda i civili italiani, oltre 150.000 furono uccisi, molti a causa di bombardamenti, rappresaglie e massacri, come quello di Sant’Anna di Stazzema e di Marzabotto. In generale, la campagna fu tra le più dure del teatro europeo, con combattimenti particolarmente sanguinosi in battaglie come Salerno, Ortona, Montecassino (Linea “Gustav”), lo sbarco di Anzio, la Linea Gotica in Appennino.
I testi non firmati sono stati curati dai volontari, storici e ricercatori di Gotica Toscana aps.
L’Italia divisa in due: la caduta del fascismo e l’Armistizio (8 settembre 1943)
L’Italia entrò guerra a fianco della Germania nel giugno 1940.
I primi successi nazisti in Polonia e Francia facevano sperare Mussolini in una rapida vittoria che nascondesse l’impreparazione militare e la generate debolezza del paese. Ma fu un errore: tre anni dopo, quella guerra disastrosa era costata all’Italia continue sconfitte sui fronti dell’Africa, dei Balcani e in Russia, gravi distruzioni, povertà, quasi 100 000 caduti militari e più di 25 000 morti fra i civili (oltre la metà sotto i bombardamenti alleati).
Dopo lo sbarco anglo-americano in Sicilia la monarchia sabauda compromessa con il fascismo decise infine di deporre Mussolini nel tentativo di salvare la dinastia regnante. II Duce fu arrestato il 25 luglio 1943, con la complicità dei maggiori dirigenti del partito fascista: il regime ventennale finì fra il giubilo della popolazione, che sperava nella pace, senza che i militanti fascisti opponessero alcuna resistenza. Ma le aspirazioni popolari per una rapida uscita del paese dalla guerra, invero difficilmente realizzabili ora che l’Italia era divenuta un campo di battaglia, si scontrarono subito con i fatti. In un clima di totale indecisione politica e impreparazione militare, il nuovo governo guidato dal maresciallo Pietro Badoglio, formalmente ancora alleato dei nazisti, avviò segretamente le trattative che portarono all’armistizio con gli alleati, che fu reso noto l’8 settembre 1943. In ottobre, il nuovo governo dichiaro guerra alla Germania divenendo “cobelligerante” degli alleati. I tedeschi, temendo il cambiamento di fronte della monarchia nonostante le assicurazioni ricevute, avevano già cominciato a spostare nuove truppe in Italia dopo l’arresto di Mussolini. All’annuncio dell’armistizio completarono l’occupazione della penisola vincendo la sanguinosa resistenza di pochi reparti italiani.
La fuga del Re e degli alti comandi verso le zone del Sud in mano agli alleati, infatti, provocò quasi ovunque il disfacimento del Regio esercito. Abbandonata senza ordini e stanca della guerra, la maggior parte dei soldati italiani si sbandò e seicentomila militari caddero nelle mani dei tedeschi che li deportarono in Germania, dove ne morirono circa 40.000. Quasi tutti gli internati rifiutarono di riprendere le armi accanto ai nazisti, e fra i militari italiani sorpresi all’estero dall’armistizio 70.000 si schierarono contro i tedeschi, subendo in due anni circa 40.000 morti. L’Italia, spezzata in due dall’avanzata lungo la penisola degli alleati sbarcati a Salerno il 9 settembre 1943, si trovò così divisa anche politicamente, sotto due governi che reclamavano entrambi la loro legittimità: quello monarchico ai Sud e quello fascista della Repubblica sociale italiana (RSI) al Nord, costituito il 23 settembre nei territori ancora occupati dai nazisti che avevano liberate Mussolini dalla prigionia sul Gran Sasso trasferendolo sotto loro controllo a Salò.
L’8 settembre è data decisiva per capire gli episodi che si susseguirono. É in quest’anno che maturano le condizioni per la sconfitta del nazi-fascismo. É l’anno della svolta internazionale che condiziona in maniera diretta il corso degli eventi in Italia. Lo svolgimento degli avvenimenti documenta il fallimento delle scelte belliche dei tedeschi. Infatti, se la battaglia d’Inghilterra, l’opposizione posta dagli americani ai giapponesi nel Pacifico, la tenacia della resistenza sovietica avevano dimostrato l’impraticabilità della guerra lampo progettata dallo stato maggiore tedesco, la battaglia di Stalingrado segna con chiarezza l’inversione di tendenza nell’andamento bellico. I russi prendono l‘iniziativa sul fronte orientale, mentre lo sforzo economico e militare statunitense garantisce la supremazia aerea in Europa e il ribaltamento delle posizioni nel Pacifico. I tempi erano dunque maturi per un attacco alla potenza giapponese e per uno sbarco alleato in Europa.
Il fascismo dopo l’8 settembre: la RSI – Repubblica Sociale Italiana
Il 25 luglio 1943, a seguito del peggioramento della situazione militare italiana e dell’invasione alleata della Sicilia, il Gran Consiglio del Fascismo votò una mozione di sfiducia contro Benito Mussolini, che portò al suo arresto. Il re Vittorio Emanuele III fece arrestare Mussolini il giorno stesso dopo un incontro a Villa Savoia. Da quel momento, Mussolini fu tenuto sotto stretta sorveglianza dai carabinieri e trasferito in varie località per evitare tentativi di liberazione da parte dei tedeschi. Alla fine, Mussolini fu condotto nel remoto Hotel Campo Imperatore sul Gran Sasso, una località montana in Abruzzo. Questa posizione, situata a oltre 2.000 metri di altitudine, era considerata inespugnabile e un luogo sicuro per la sua prigionia.
Tuttavia, il leader tedesco Adolf Hitler non era disposto a lasciar cadere Mussolini nelle mani degli Alleati e ordinò al Generale delle SS Kurt Student e a Otto Skorzeny di organizzare una missione per liberarlo. L’operazione per liberare Mussolini, nota come Operazione Quercia, avvenne il 12 settembre 1943. Un gruppo scelto di paracadutisti tedeschi e commandos delle SS, guidati da Otto Skorzeny, atterrò vicino all’hotel con alianti. Senza sparare un colpo, i tedeschi riuscirono a sopraffare i pochi carabinieri italiani di guardia e a liberare Mussolini, che venne portato via in aereo. Dopo la sua liberazione, Mussolini fu condotto in Germania, dove incontrò Hitler. Quest’ultimo gli propose di tornare a guidare un nuovo stato fascista nel nord Italia, sotto il controllo tedesco. Il 23 settembre 1943, Mussolini annunciò la nascita della Repubblica Sociale Italiana (RSI), con capitale a Salò, sul Lago di Garda. La RSI era uno stato fantoccio, dipendente dal supporto militare e politico della Germania nazista. Mussolini riprese formalmente il potere come capo del governo, ma il controllo effettivo era nelle mani dei tedeschi.
La Repubblica Sociale Italiana tentò di ristabilire un regime fascista, ma la situazione militare e politica era ormai compromessa. La RSI fu caratterizzata da repressioni, processi contro i traditori del fascismo e una violenta lotta contro la resistenza italiana, fino alla sua dissoluzione nell’aprile del 1945, quando Mussolini fu catturato dai partigiani e giustiziato il 28 aprile 1945. Le forze armate fasciste comprendevano cinque divisioni e altri reparti minori, che alla fine della guerra ebbero oltre 4000 caduti. Le “camicie nere” vennero inquadrate nell’esercito e trasformate in Guardia Nazionale Repubblicana, con compiti di polizia analoghi a quelli dei Carabinieri. I reparti che si macchiarono dei peggiori atti criminali furono pero le “Brigate nere” formate nell’estate 1944 e impiegate nelle azioni di repressione antipartigiana. Le Brigate nere raccoglievano gli elementi fascisti più estremisti. Quelli della zona di Firenze, sfollati a nord subito prima dell’arrivo degli alleati, si distinsero per la brutalità dimostrata nei rastrellamenti in Valtellina.
Lo sbarco a Salerno: Operazione “Avalanche”
L’Operation “Avalanche”, che iniziò il 9 settembre 1943, fu un’invasione anfibia pianificata dagli Alleati come parte del loro piano di avanzata in Italia durante la Seconda Guerra Mondiale. Il suo scopo principale era catturare il porto strategico di Napoli per assicurare una solida base logistica e avanzare verso nord per spezzare le difese tedesche, con l’ulteriore obiettivo di tagliare fuori le forze nemiche nel sud. L’operazione vide il coinvolgimento della 5ª Armata statunitense, guidata dal generale Mark Clark, e del X Corpo britannico sotto il generale Richard McCreery.
L’invasione si sviluppò su un ampio fronte di circa 35 miglia lungo la costa vicino a Salerno, e il piano prevedeva che le truppe alleate si collegassero con l’8ª Armata britannica che avanzava da sud, dopo essere sbarcata in Calabria durante l’Operazione “Baytown”. Ma subito vi furono difficoltà per i veementi contrattacchi tedeschi che convinsero Hitler a non abbandonare l’Italia facendone un primario fronte di guerra. Sin dal principio, gli Alleati incontrarono notevoli difficoltà. Le difese tedesche, preparate dal feldmaresciallo Albert Kesselring, sfruttavano il terreno accidentato e le posizioni strategiche in collina. Le forze tedesche, tra cui la 16ª Divisione Panzer e la Divisione Hermann Göring, erano ben organizzate e determinatissime a mantenere le loro posizioni.
Durante i primi giorni dell’operazione, i tedeschi inflissero pesanti perdite agli Alleati, respingendo diversi tentativi di avanzata. Il 13 settembre, le forze tedesche lanciarono un potente contrattacco con l’obiettivo di spingere le truppe alleate fuori dalla testa di ponte di Salerno. Questa controffensiva raggiunse i sobborghi della città, e la situazione si fece così critica che Clark valutò l’ipotesi di evacuare le truppe. Tuttavia, l’intervento cruciale delle forze aeree e navali alleate, inclusi bombardamenti navali e attacchi aerei, riuscì a respingere l’avanzata tedesca e a prevenire il crollo del fronte. La ripresa dell’iniziativa alleata avvenne a partire dal 15 settembre. Gli Alleati intensificarono i bombardamenti aerei e navali, infliggendo pesanti perdite alle forze tedesche. Contemporaneamente, le truppe alleate riuscirono a consolidare la loro posizione sulla testa di ponte e a respingere ulteriori contrattacchi. Il punto di svolta arrivò il 17-18 settembre, quando le forze britanniche e americane ricevettero rinforzi dalla Calabria, grazie allo sbarco riuscito dell’Operazione “Baytown”.
In totale, durante i combattimenti a Salerno, gli Alleati subirono circa 12.500 perdite, tra morti, feriti e dispersi. Nonostante le difficoltà incontrate, la vittoria a Salerno segnò l’inizio di una serie di avanzate che permisero agli Alleati di prendere il controllo di Napoli entro il 1 ottobre 1943 e di stabilire una solida base per ulteriori offensive verso il nord Italia. La cattura di Napoli e la stabilizzazione del fronte italiano fornirono agli Alleati un punto di appoggio cruciale per le successive operazioni, tra cui l’avanzata verso la Linea Gustav e la battaglia di Montecassino, che portarono alla liberazione di Roma nel giugno 1944.
L’avanzata degli Alleati in Adriatico da Foggia a Ortona
L’avanzata degli Alleati lungo la costa adriatica si svolse dall’ottobre 1943 a dicembre 1943. Fu una parte cruciale della Campagna d’Italia durante la Seconda Guerra Mondiale. La spinta principale iniziò con la presa di Foggia il 1° ottobre 1943 da parte dell’8ª Armata britannica, che garantì il controllo di una fondamentale base aerea per le operazioni alleate in Europa. L’azione faceva parte dell’Operazione “Avalanche” e fu seguita da una rapida avanzata verso nord, con l’obiettivo di colpire le difese tedesche posizionate lungo il fiume Trigno e il fiume Sangro.
A novembre 1943, le forze alleate, sotto il comando del generale Bernard Montgomery, lanciarono un’importante offensiva lungo il Sangro. Dopo intensi combattimenti, riuscirono a ottenere una piccola testa di ponte, ma a caro prezzo, con oltre 2.800 perdite tra britannici, neozelandesi e indiani. A dicembre, i canadesi presero il comando dell’assalto lungo il fiume Moro, affrontando pesanti resistenze tedesche. Il culmine dell’avanzata fu la Battaglia di Ortona (20-28 dicembre 1943), in cui le truppe canadesi si scontrarono con la 1ª Divisione Paracadutisti tedesca in un brutale combattimento urbano. Ortona, un porto strategico sulla costa adriatica, era essenziale per gli Alleati per ridurre le loro linee di rifornimento. Tuttavia, i tedeschi trasformarono la città in una fortezza, con case minate e strade bloccate, rendendo necessarie tattiche innovative come il “mouse-holing”, un sistema di avanzamento attraverso i muri delle case per evitare le strade infestate dai cecchini.
Alla fine di otto giorni di combattimenti intensi, i tedeschi si ritirarono da Ortona, lasciando la città devastata. La battaglia, pur vittoriosa per gli Alleati, costò caro: solo i canadesi persero 1.375 uomini, tra cui 373 durante i combattimenti iniziali sul fiume Moro. Questa avanzata rappresentò un’importante vittoria strategica, ma non senza gravi perdite e sfide logistiche per gli Alleati.
La resistenza sulla Linea Gustav: Rapido, Montecassino, Liri
Le battaglie per la Linea Gustav e la Valle del Liri, insieme alla presa di Montecassino, furono tra gli scontri più difficili e sanguinosi della campagna d’Italia durante la Seconda Guerra Mondiale. Queste battaglie videro una serie di offensive alleate nel tentativo di sfondare le forti difese tedesche e avanzare verso Roma.
La prima battaglia di Montecassino iniziò il 17 gennaio 1944, con un tentativo delle forze alleate, in particolare il II Corpo americano, di attraversare il fiume Rapido. L’obiettivo era spezzare le difese tedesche presso la città di Cassino e aprire la strada verso Roma. Tuttavia, le truppe alleate incontrarono una resistenza feroce e ben organizzata da parte dei tedeschi, che avevano fortificato le loro posizioni naturali lungo il fiume. Le divisioni americane furono respinte, subendo gravi perdite, con oltre 2.200 morti, e dovettero ritirarsi, segnando il fallimento del primo tentativo di sfondamento della Linea Gustav.
Dopo questo fallimento, gli Alleati cambiarono strategia. Il 15 febbraio 1944, decisero di distruggere l’abbazia di Montecassino con un massiccio bombardamento aereo, poiché ritenevano erroneamente che i tedeschi stessero utilizzando l’antico monastero come punto di osservazione. Sebbene l’abbazia fosse stata lasciata vuota dai tedeschi per preservare il patrimonio storico, il bombardamento ridusse l’edificio in macerie. Paradossalmente, questo fornì ai tedeschi una nuova opportunità: la 1ª Divisione Paracadutisti occupò le rovine, rendendo Montecassino una fortezza ancora più difficile da conquistare. Nel marzo 1944, durante la terza battaglia di Montecassino, le forze alleate, inclusi reparti neozelandesi e indiani, tentarono nuovamente di avanzare. Nonostante l’intenso bombardamento alleato, i tedeschi mantennero le loro posizioni e respinsero l’assalto, infliggendo gravi perdite alle forze attaccanti. Ancora una volta, la battaglia si concluse con un nulla di fatto per gli Alleati.
L’offensiva decisiva arrivò con l’Operazione “Diadem”, lanciata il 12 maggio 1944. Questo attacco coordinato coinvolse forze provenienti da molte nazioni alleate, inclusi polacchi, francesi, britannici e americani. Il II Corpo polacco svolse un ruolo fondamentale nella cattura finale di Montecassino, riuscendo, dopo giorni di furiosi combattimenti contro i paracadutisti tedeschi, a issare la bandiera polacca sulle rovine dell’abbazia il 18 maggio 1944.
Contemporaneamente, l’VIII Armata britannica avanzava nella Valle del Liri, riuscendo a sfondare le difese tedesche e facilitando l’avanzata verso Roma. La battaglia nella Valle del Liri fu altrettanto cruciale. Le forze alleate, tra cui il XIII Corpo britannico e il II Corpo polacco, avanzarono lungo la valle, affrontando una resistenza tedesca ben organizzata e ostacolata dalla geografia complessa del terreno. Dopo giorni di combattimenti, i canadesi riuscirono a sfondare la Linea “Hitler” presso Pontecorvo il 23 maggio 1944, forzando una ritirata tedesca. Questo successo aprì la strada agli Alleati per l’avanzata finale su Roma.
Nel complesso, le battaglie per Montecassino e la Valle del Liri causarono enormi perdite da entrambe le parti. Gli Alleati subirono circa 55.000 vittime, mentre le perdite tedesche furono stimate intorno ai 20.000 tra morti e feriti. Nonostante l’alto costo umano, queste battaglie rappresentarono un punto di svolta nella campagna d’Italia. Il 4 giugno 1944, gli Alleati entrarono a Roma, segnando la liberazione della città e costringendo i tedeschi a ritirarsi verso la Linea Gotica più a nord, in un’operazione che gettò le basi per la liberazione dell’Italia settentrionale.
Lo sbarco di Anzio, le battaglie di Cisterna, Ardea, Aprilia
Lo sbarco di Anzio, iniziato il 22 gennaio 1944, fu parte dell’ambiziosa Operazione “Shingle”, ideata per aggirare le difese tedesche della Linea Gustav e aprire la strada per la liberazione di Roma. La testa di ponte fu stabilita lungo le coste di Anzio e Nettuno con l’obiettivo di disorientare i tedeschi, già impegnati a fermare l’avanzata alleata a Montecassino. L’operazione prevedeva una combinazione di forze statunitensi e britanniche, sotto il comando del generale John P. Lucas, incaricato di condurre la VI Corpo d’Armata USA. Nonostante il successo iniziale dello sbarco, che avvenne con pochissima opposizione, Lucas esitò a sfruttare l’elemento sorpresa, preferendo consolidare le difese anziché avanzare immediatamente verso l’entroterra, una decisione che avrebbe influito significativamente sull’esito delle operazioni.
La fase successiva dell’operazione vide l’intensificarsi delle battaglie per il controllo delle aree strategiche intorno ad Anzio. Una delle battaglie più critiche fu quella di Cisterna, che si svolse tra il 30 gennaio e il 2 febbraio 1944. Le forze alleate, composte in particolare da battaglioni di Rangers e da reparti della 3ª Divisione di fanteria, tentarono di prendere la città di Cisterna di Latina, un punto cruciale per le vie di comunicazione verso Roma. Tuttavia, la missione si concluse in un disastro: le truppe americane, che credevano di trovarsi di fronte a una difesa tedesca debole, si trovarono invece ad affrontare forze corazzate ben preparate, tra cui la Divisione Hermann Göring e la 715ª Divisione di fanteria tedesca. L’attacco si trasformò rapidamente in un’imboscata per i Rangers, con la maggior parte dei 767 uomini coinvolti che furono catturati o uccisi.
Nella zona di Aprilia, conosciuta come “la Fabbrica” per via di un complesso industriale, gli Alleati affrontarono pesanti combattimenti tra il 24 e il 25 gennaio. Le truppe britanniche e americane riuscirono inizialmente a spingersi in avanti, ma i rinforzi tedeschi bloccarono l’avanzata, trasformando la zona in una linea del fronte statica per diverse settimane. La vicina area di Ardea, cruciale per mantenere il collegamento tra la testa di ponte di Anzio e Roma, fu anch’essa teatro di aspri scontri. I tedeschi, sotto la guida di Kesselring, non solo rinforzarono rapidamente le loro posizioni, ma utilizzarono anche le condizioni geografiche, come le paludi circostanti, per rallentare l’avanzata alleata.
Mentre le operazioni ad Anzio si trascinavano, il morale alleato fu messo a dura prova dalla pioggia continua, dal fango e dalla pioggia di proiettili di artiglieria tedesca che colpivano regolarmente la testa di ponte. I tedeschi avevano bloccato il sistema di drenaggio delle paludi, allagando parte delle aree circostanti e creando condizioni insalubri per le truppe alleate, con conseguenti epidemie. Durante i mesi di febbraio e marzo, i combattimenti divennero una logorante battaglia di posizione, con gli alleati che tentavano ripetutamente di espandere il perimetro della testa di ponte senza ottenere progressi significativi.
Solo a maggio 1944, sotto il nuovo comando del generale Lucian Truscott, le truppe alleate riuscirono a lanciare un’offensiva decisiva. Dopo giorni di aspri combattimenti, il 23 maggio le forze americane riuscirono finalmente a prendere Cisterna, un obiettivo strategico chiave. Nonostante il successo, il generale Mark Clark ordinò alle truppe di dirigersi verso Roma invece di tagliare le linee di ritirata tedesche, permettendo così alla 10ª Armata tedesca di sfuggire dalla trappola e riorganizzarsi più a nord. Roma fu liberata il 4 giugno 1944, pochi giorni prima dello sbarco in Normandia, ma la scelta di Clark fu oggetto di critiche, poiché ritardò il collasso delle forze tedesche in Italia.
L’intera operazione di Anzio si rivelò estremamente costosa in termini di vite umane. Gli Alleati subirono circa 40.000 perdite, tra morti, feriti e dispersi, mentre i tedeschi registrarono oltre 30.000 vittime. Sebbene l’operazione abbia raggiunto l’obiettivo strategico di liberare Roma, l’opportunità di infliggere una sconfitta decisiva alle forze tedesche fu in parte compromessa dalle scelte tattiche che prolungarono il conflitto in Italia fino al 1945.
La liberazione di Roma
La liberazione di Roma, avvenuta il 4 giugno 1944, fu il risultato di una serie di manovre rapide e ben coordinate dalle forze alleate, principalmente americane, sotto il comando del generale Mark W. Clark della 5ª Armata. La città era stata sotto occupazione tedesca per circa nove mesi, durante i quali i tedeschi avevano fortificato la capitale, ma dopo i pesanti scontri a sud lungo la Linea Gustav e la battaglia di Montecassino, le forze tedesche iniziarono a ritirarsi.
Clark, sfidando gli ordini del comando alleato che gli imponevano di tagliare la ritirata alla 10ª Armata tedesca in fuga verso nord, decise di spostare le sue forze direttamente su Roma. Questo atto, sebbene criticato strategicamente, aveva lo scopo di garantire agli americani il merito della liberazione della capitale italiana, una vittoria simbolica di grande rilievo. Il generale tedesco Albert Kesselring, comandante delle forze in Italia, ordinò alle truppe tedesche di evacuare Roma piuttosto che combattere per difenderla, in quanto ritenne che fosse più importante salvaguardare le sue forze per il successivo arretramento verso la Linea Gotica a nord.
I tedeschi lasciarono la città in modo ordinato nelle prime ore del 4 giugno 1944, senza opporre una resistenza significativa agli Alleati che avanzavano. Questo permise agli americani di entrare a Roma relativamente indisturbati. Nonostante Roma fosse stata dichiarata città aperta e non avesse subito gravi distruzioni durante la ritirata tedesca, la popolazione soffriva per la carenza di cibo e beni essenziali. L’entrata delle truppe alleate fu accolta con entusiasmo dalla popolazione, che scese in strada per celebrare la fine dell’occupazione. La ritirata tedesca da Roma fu parte di una strategia più ampia volta a concentrare le forze lungo la Linea Gotica, una difesa più robusta a nord di Firenze, dove Kesselring sperava di rallentare l’avanzata alleata. La liberazione della capitale, però, segnò una svolta importante nella campagna d’Italia, rendendo chiaro che le forze dell’Asse stavano perdendo il controllo della penisola.
L’avanzata alleata del luglio – agosto 1944 dal Trasimeno al Casentino
Dopo la liberazione di Roma l’avanzata alleata si divise in vari fronti verso nord. Uno di questi fronti si mosse attraverso la Valtiberina verso Perugia, affrontando lo sbarramento tedesco preparato lungo la Linea “Albert”, anche nota come Linea del Trasimeno. Essa correva da Castiglion della Pescaia sul Mar Tirreno fino al Mare Adriatico, passando per il Monte Amiata, Radicofani e il Lago Trasimeno. I tedeschi vi avevano predisposto posizioni ben fortificate in punti strategici come Casamaggiore, Frattavecchia, e lungo la cresta tra Sanfatucchio e Vaiano. Nidi di mitragliatrici, postazioni di mortaio, Nebelwerfer (lanciarazzi multipli) e numerosi cannoni anticarro e obici, era no ben camuffati per dare supporto alla fanteria e fermare i carri alleati. Le principali unità tedesche di presidio erano la 334ª Divisione di Fanteria, sotto il comando del generale Bohlke, schierata dalla sponda occidentale del Trasimeno fino a Sanfatucchio, e la Fallschirm-Panzer-Division 1 “Hermann Göring”, una divisione corazzata d’élite, posizionata nell’area di Chiusi.
I combattimenti lungo la Linea del Trasimeno iniziarono il 21 giugno 1944 e furono particolarmente intensi nelle battaglie di Tuoro sul Trasimeno e Passignano sul Trasimeno, tra il 20 e il 30 giugno 1944. A Tuoro, le truppe tedesche della 14ª Armata, comprese unità della 334ª Divisione di Fanteria, occuparono posizioni strategiche sulle alture attorno al lago, infliggendo pesanti perdite alle forze britanniche e neozelandesi della 8ª Armata con il fuoco di mitragliatrici e artiglieria. Tuttavia, i bombardamenti alleati e gli attacchi aerei distrussero progressivamente le difese tedesche. Similmente, a Passignano sul Trasimeno, le truppe della 10ª Armata tedesca sfruttarono le colline e la strada costiera per resistere all’avanzata britannica. La 4ª Divisione britannica, insieme alla 78ª Divisione di Fanteria, subì gravi difficoltà a causa delle fortificazioni tedesche, ma l’intervento dell’aviazione e la superiorità numerica costrinsero i tedeschi a ritirarsi verso nord. Il 1º luglio 1944, la Linea del Trasimeno cedette definitivamente, permettendo agli Alleati di proseguire l’avanzata. Il giorno successivo, il 2 luglio 1944, la 4ª Divisione di Fanteria americana conquistò Foiano, una località situata a circa 30 km da Arezzo, aprendo la strada verso il capoluogo. Parallelamente, la 6ª Divisione Corazzata sudafricana, inquadrata nel XIII Corpo d’Armata britannico, avanzò su Sinalunga, da cui i tedeschi si erano già ritirati. A questo punto, lo sfondamento della Linea Albert fu completato.
L’avanzata alleata verso Arezzo proseguì da due direttrici principali: una proveniente da Anghiari e l’altra da Cortona. Il 13 luglio 1944, dopo la battaglia di Anghiari, le forze alleate, in particolare la 4ª Divisione Indiana e i Gurkha, avanzarono verso nord, superando numerosi ostacoli naturali e difese tedesche ben posizionate. Nel frattempo, il 7 luglio 1944, i reparti britannici liberarono Cortona e si mossero verso la Valdichiana e Arezzo. Gli scontri decisivi per la liberazione di Arezzo si verificarono sul Monte Lignano tra il 14 e il 16 luglio 1944, dove la 2ª Divisione Neozelandese e la 6ª Divisione Sudafricana affrontarono la 715ª Divisione di Fanteria tedesca. Dopo violenti combattimenti, le forze tedesche furono costrette a ritirarsi verso le propaggini della valle del Casentino, e Arezzo fu liberata il 16 luglio 1944.
Nonostante la ritirata tedesca, i combattimenti proseguirono per altre settimane lungo la Linea “Karin”, stabilita nell’agosto 1944 per rallentare l’avanzata alleata. La linea, che prendeva il nome dalla prima moglie del Reichsmarschall Göring, si estendeva da Anghiari alle colline sopra Capolona, proteggendo il Casentino e la Linea Gotica. L’Operazione “Vandal” fu lanciata nella notte tra il 3 e il 4 agosto 1944 per sfondare questo sbarramento. Le forze britanniche, indiane e Gurkha della 4ª Divisione Indiana avanzarono sull’Alpe di Catenaia. L’attacco colse di sorpresa i tedeschi, ma fu ostacolato dalla mancanza di strade e dal terreno impervio. Le battaglie chiave si svolsero su Monte Castello e su Poggio Grillo, dove i Gurkha furono decisivi nel combattimento in montagna.
Nonostante l’avanzata alleata, l’operazione fu interrotta il 10 agosto 1944 a causa di cambiamenti strategici. L’Operazione “Dragoon”, lanciata il 15 agosto per lo sbarco in Francia meridionale, richiese risorse che vennero distolte dal fronte italiano. Inoltre, l’Operazione “Olive”, pianificata per il 25 agosto per attaccare la Linea Gotica sul lato adriatico, rese necessario lo spostamento della 4ª Divisione Indiana verso la costa. La 10ª Divisione Indiana, già impegnata sull’Alpe di Catenaia, dovette anche coprire il fronte lasciato scoperto, riducendo la forza disponibile per un attacco deciso. A causa di questa riduzione di truppe, l’Operazione “Vandal” si concluse, con la 10ª Divisione Indiana che si limitò a difendere le posizioni conquistate, mantenendo comunque una pressione costante per costringere i tedeschi a un ritiro graduale.
La Battaglia del Chianti
di Corso Paolo Boccia
Più a ovest sulla linea di fronte verso Firenze, dopo la liberazione di Roma i comandi tedeschi decisero di ritardare l’avanzata alleata secondo un calendario rigidamente stabilito che prevedeva di abbandonare l’Arno e Firenze l’11 agosto, per attestarsi poi a tempo indefinito lungo la dorsale appenninica sulla Linea Gotica. La resistenza tedesca fu per questo motivo assai aspra e capace in termini tattici. Con l’avvicinarsi del fronte, la presenza militare tedesca in Toscana, prima limitata a pochi e innocui presidi territoriali, si fece massiccia. Lunghe colonne motorizzate e ippotrainate si ritiravano di notte lungo le strade, sostando al coperto durante il giorno per sfuggire agli attacchi aerei alleati. I mezzi diretti a sud per rifornire le truppe al fronte ritornavano carichi di masserizie depredate nella zona del fronte e rivendute o barattate alimentando il mercato nero. Con l’avvicinarsi dei combattimenti la stessa sorte toccò alle case e alle botteghe del Chianti, saccheggiate e vandalizzate dalle truppe in ritirata.
Il Valdarno superiore, che offriva la via di accesso più diretta verso Firenze, era difeso in forze dal LXXVI corpo corazzato germanico. Il compito di ritardare quanto più possibile l’avanzata alleata nel settore più aspro e collinoso del Chianti cadde invece sul I Corpo paracadutisti, veterano di tante battaglie durante la lunga risalita alleata della penisola quasi un anno prima, composto dalla 4ª divisione paracadutisti e dalla 356ª divisione fanteria. Fu proprio lì che il gen. S.C. Kirkman, comandante del XIII corpo britannico inquadrato nella 8^ armata britannica, decise di sferrare l’attacco principale verso Firenze, subentrando ai francesi del corpo di spedizione del gen. Alphonse Juin, ritirati dai combattimenti in Italia in vista dello sbarco in Provenza dopo avere liberato Siena.
Le campagne del Chianti divennero così zona di guerra, campo di battaglia tra alcune delle migliori truppe tedesche in Italia e i veterani delle battaglie africane del XIII corpo britannico, con reparti inglesi, neozelandesi, indiani e sudafricani. Le forze tedesche si attestarono attraverso il Chianti su linee difensive fortificate dai lavoratori coscritti dall’Organizzazione Todt che avevano preparato una rete di capisaldi intervallati da settori coperti dal tiro d’artiglieria, identificando la principale tra tali linee difensive con il nome di “Linea Paula”. Per sfondarle, gli alleati adottarono una tattica basata su ripetuti attacchi locali. Si sfruttava così la propria superiorità di mezzi per risparmiare le truppe, con effetti devastanti sull’avversario e, purtroppo, sul territorio e la popolazione civile.
L’estate del 1944 fu una stagione particolarmente torrida. Fino ad allora, la guerra aveva sostanzialmente risparmiato il territorio toscano, mantenendone quasi intatta la bellezza del tempo di pace. A mezza estate, in Toscana, così il gen. Frido von Senger und Etterlin descriveva il paesaggio, “il verde si fa più scuro; il porpora delle pesche mature e il giallo dorato delle pere si stagliano sui vigneti in frutto e sui campi di grano. Il mais si alza come una giungla, mentre il terreno si fa più secco”. I soldati sul campo, però, avevano raramente l’occasione o lo spirito per apprezzare le bellezze del paesaggio. Un militare neozelandese della 2ª divisione, veterano delle campagne africane, a proposito della Toscana meridionale ebbe a scrivere che in vita sua non aveva mai percorso strade più polverose. Il flusso incessante dei veicoli aveva ridotto la superficie stradale ad una polvere impalpabile che in certi punti era profonda anche 15 centimetri. C’era poco vento, e la polvere sollevata dalle colonne alleate ne indicava ai tedeschi il percorso a chilometri di distanza, anche oltre le colline. Uomini e mezzi sembravano fantasmi, tanto erano uniformemente ricoperti da una polvere simile a gesso. Addirittura, in colonna, i mezzi si trovavano a volte a dover rallentare come in un banco di nebbia, tanta era la polvere sollevata dai veicoli che precedevano.
La battaglia del Chianti si apri con la conquista di Siena, liberata all’alba del 3 luglio dal Corpo di Spedizione francese in Italia, le cui truppe si apprestavano, nel Chianti meridionale, a combattere l’ultima sanguinosa battaglia prima del loro spostamento verso la Provenza nell’ambito dell’operazione Anvil-Dragoon. A nord di Siena, l’avanzata francese rallentò di fronte alla decisa resistenza offerta dalle truppe tedesche della 71ª divisione corazzata e della divisione di fanteria turcomanna. A Poggibonsi, inizialmente occupata il 14 luglio, l’intervento dell’11° reggimento paracadutisti della 4ª divisione costrinse i francesi a ripiegare. La tattica di ritirata tedesca dava i suoi frutti, e per coprire i 26 chilometri tra Siena e Poggibonsi ai gumier alla fine occorsero undici giorni. Quando le truppe coloniali francesi furono infine sostituite il 22 luglio dai neozelandesi della 2ª divisione del gen. Freyberg (che comprendeva la 4ª, 5ª e 6ª brigata, coadiuvate in quella fase anche da alcune unità corazzate indipendenti), si trovavano ancora di poco sopra Castellina in Chianti.
Con la sostituzione in linea delle truppe francesi, si apriva la fase cruciale della battaglia per lo sfondamento a sud di Firenze. Il 23 luglio il feldmaresciallo Albert Kesselring dichiarava Firenze “città aperta”, ordinando di ritirare dall’abitato tutte le forze militari salvo quelle di sicurezza, anche se nei fatti l’ordine fu interpretato piuttosto “elasticamente”. Lo stesso giorno, Kesselring ordinava alla 14 ª armata del gen. Lemelsen di ritardare l’avanzata alleata a sud di Firenze, mentre si completava l’allestimento della linea difensiva “Paula” a sud dell’Arno. A tale scopo, la 4ª divisione paracadutisti doveva presidiare un’altra linea più a sud (la Linea “Olga”) perlomeno fino al 25 luglio. Ordine che i paracadutisti eseguirono brillantemente, nonostante gli attacchi in forze dei neozelandesi, ingaggiando combattimenti molto sanguinosi per entrambe le parti.
Il territorio del Chianti, con le sue colline ondulate, l’alternarsi di boschi a vitigni e campi coltivati, le sue strade tortuose, i robusti casolari in pietra, sembrava nato apposta per favorire la difesa mobile, affidata alle poche truppe tedesche appoggiate da carri Tigre in funzione di capisaldi corazzati (ruolo di elezione del pesante, ben armato e ben corazzato carro Modello VI), tanto che i neozelandesi lo ribattezzarono “Tiger Country”. Improvvisamente, gli equipaggi degli inferiori carri Sherman divennero, come ammette perfino lo storico ufficiale neozelandese, “più cauti di quanto fossero mai stati prima”, tanto da minare per una volta la tradizionale ottima collaborazione tra fanti e carristi neozelandesi.
L’avanzata verso Firenze, 14 luglio – 4 agosto 1944
Faticosamente, i neozelandesi della 5ª e 6ª brigata, coadiuvati da un’unità provvisoria formata da blindati e fanteria, continuarono comunque la loro avanzata verso Firenze, attraverso la Linea “Olga” tra San Casciano e Cerbaia, e giungendo infine alle alture del Pian dei Cerri presso la Romola, dove correva la Linea Paula in quel settore del fronte. San Casciano, cannoneggiato pesantemente e inutilmente bombardato in due occasioni dai cacciabombardieri alleati, fu infine raggiunto dalla fanteria del 22° battaglione la mattina del 26 luglio, che ingaggiò scaramucce casa per casa per eliminare i cecchini nemici. Dagli edifici più alti del paese, si vedeva infine Firenze. Il cammino per il Pian dei Cerri e le difese principali tedesche a sud di Firenze era aperto, e i combattimenti infuriavano. Solo tra 29 e 31 luglio, l’artiglieria divisionale neozelandese consumò più di 100.000 colpi da 25 libbre, tanto da mettere in seria difficoltà il sistema di approvvigionamento del XIII corpo d’armata. Dal canto suo, Lemelsen avvisò i comandi superiori che il I corpo d’armata paracadutisti era ormai impossibilitato a resistere oltre, per esaurimento delle munizioni e l’impossibilità di fare affluire convogli di rifornimenti per mancanza di carburante.
Nel settore della dorsale del Chianti, intanto era continuata l’avanzata della 6ª divisione corazzata sudafricana, appoggiata dalla 24ª brigata guardie britannica. Unica formazione corazzata sudafricana dell’epoca, la 6ª si era formata in Nord Africa nel 1942, aveva combattuto con l’8ª armata di Montgomery ed era giunta in Italia nell’aprile 1944. Tra le unità alleate in Italia, nessuna esclusa, era quella più potente in termini di armamento e mezzi corazzati, e contava su un forte complemento di unità non sudafricane di fanteria e di altre armi aggregate. Le sue unità organiche comprendevano la 11ª brigata corazzata sudafricana, equipaggiata principalmente con carri Sherman, la 12ª brigata motorizzata, e, fino al gennaio 1945, la 24ª brigata guardie britannica. L’artiglieria divisionale includeva un reggimento di artiglieria da campagna, un reggimento con obici semoventi “Priest”, un ulteriore reggimento di medi calibri, pezzi anticarro ed artiglieria contraerea. Una nota di colore. Mentre le unità sudafricane utilizzavano sempre la bandiera nazionale del 1927, i Royal Natal Carabineers della 12ª brigata motorizzata, unica eccezione ammessa, erano autorizzati a sventolare a fianco della nuova bandiera anche l’Union Jack, per il forte tradizionale legame della popolazione del Natal alla Corona britannica.
Fin da subito i sudafricani si trovarono in difficoltà di fronte alla sperimentata tattica tedesca di ritirata a scaglioni, trattenendo le forze alleate sulle posizioni occupate il più a lungo possibile per poi sfuggire all’accerchiamento all’ultimo minuto, quando era già approntata la linea di difesa successiva. Dopo la liberazione di Arezzo, l’asse dell’avanzata del XIII corpo si era spostata verso nord ovest, investendo per la prima volta il Chianti. I sudafricani della 6ª divisione corazzata, con l’aiuto delle Guardie Scozzesi e dei Granatieri della Guardia, era riuscita a risalire abbastanza rapidamente sino a quasi a Greve. Dalla vetta del Monte San Michele, il 20 luglio i comandanti sudafricani avevano potuto scorgere per la prima volta Firenze in lontananza.
Sulle alture dominanti attorno a Greve (il monte Fili ad ovest ed il monte Domini ad est), era attestata la 356ª divisione tedesca, con l’ordine di resistere ad ogni costo per difendere la Linea Paula. La battaglia per lo sfondamento ad est si aprì con un cannoneggiamento di un’ora sulle linee tedesche. Poi, le Coldstream Guards britanniche, con l’appoggio di un plotone di Sherman del Pretoria Regiment, iniziarono ad avanzare, secondo il resoconto ufficiale sudafricano, con i carri che si arrampicavano “su pendii così ripidi che nessuno Sherman aveva mai superato prima, ne avrebbe dopo”. La sera del 23 luglio la difesa tedesca era spezzata, a caro prezzo. Sull’altro versante della Greve, intanto, i fucilieri del Witwatersrand Rifles, con i carri del Prince Albert’s Guard in appoggio, catturarono monte Fili con un attacco coordinato, da manuale. Greve essendo divenuta indifendibile, i tedeschi si ritirarono il 24 luglio, non prima di avere demolito con meticolosa efficienza quanto poteva ritardare l’avanzata alleata.
Ciò nonostante, il giorno successivo i carristi del Pretoria si affacciavano, con le Coldstream Guards, sulle ultime alture del Chianti che dominavano la strada per Impruneta. Un forte contrattacco tedesco con l’impiego di carri Tigre arrestò temporaneamente l’avanzata sulla linea di Mercatale, ma con la conquista delle alture del Pian dei Cerri da parte dei neozelandesi ad ovest e di Monte Scalari ad est (ad opera dei “Tommies” della 4 ª divisione di fanteria britannica), era chiaro che la Wehrmacht non poteva ancora tenere Impruneta. Nonostante le truppe tedesche avessero già abbandonato il paese, anche Impruneta, come San Casciano, fu tragicamente devastata da un pesante quanto inutile attacco dei cacciabombardieri alleati, ed il 3 agosto le avanguardie sudafricane entravano nella cittadina.
La Linea “Paula” ormai aveva ceduto, e la mattina dopo le avanguardie corazzate sudafricane del Pretoria e le Grenadier Guards entravano, prime unità alleate, nei sobborghi sud del capoluogo toscano, precedendo di poco i “Kiwis”. La battaglia per Firenze era iniziata. Grazie alla resistenza delle truppe sul campo, Kesselring però era riuscito a rispettare il calendario della ritirata verso l’Appennino, con la conseguenza di un altro lungo e doloroso inverno di guerra per i soldati di entrambi gli schieramenti e per la popolazione italiana.
Con la liberazione del Chianti le famiglie sfollate o rifugiate nel folto della boscaglia rientrarono alle case prima abbandonate, trovando a volte solo macerie: nel Chianti andò completamente o gravemente danneggiato circa il 30% dei vani, un altro 30% fu danneggiato in modo lieve. Accanto alle distruzioni materiali, stavano le tracce indelebili delle violenze subite e delle perdite in vite umane. Nel solo territorio di Greve, ventinove persone erano state fucilate per insensata rappresaglia. Tra i partigiani ci fu una ventina di caduti, mentre gli ordigni bellici provocarono un centinaio tra morti e feriti nella popolazione civile. Ancora per diversi anni i contadini e gli addetti alle operazioni di bonifica dovettero fare i conti con le quasi 1800 mine stese dai tedeschi tra i primi di giugno e la fine di luglio.
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Fonti
- Baldini Carlo, La seconda guerra mondiale da Greve in Chianti a Firenze, Firenze, 1993.
- Biscarini Claudio, 1944 i francesi e la liberazione di Siena. Storia e immagini delle operazioni militari, Siena 1991.
- Brooks Thomas R., The War North of Rome, June 1944-May 1945, New York, 1996.
- Gaujac Paul, L’Armée de la Victoire, vol. 2, Parigi, 1985.
- Kay Robin Langford, From Cassino to Trieste, Wellington, 1967.
La liberazione di Firenze: 11-31 agosto 1944
Dopo la liberazione di Roma il 4 giugno 1944, l’avanzata alleata si concentrò sulla spinta verso nord per sfondare le difese tedesche in Toscana. Firenze divenne un obiettivo strategico, e la città fu coinvolta nelle operazioni delle principali forze alleate, tra cui la VIII Armata britannica e la 5ª Armata statunitense, sostenute da reparti coloniali e truppe neozelandesi. La resistenza tedesca era affidata a unità come la 305ª e 356ª Divisione di fanteria, mentre i fascisti della Repubblica Sociale Italiana contribuirono con gruppi di franchi tiratori, mobilitati per ordine di Alessandro Pavolini, segretario del Partito Fascista Repubblicano. Questi cecchini sparavano su partigiani e civili, tentando di rallentare la liberazione della città.
L’11 agosto 1944, sotto il coordinamento del Comitato Toscano di Liberazione Nazionale (CTLN), le brigate partigiane attraversarono l’Arno per insorgere contro i tedeschi e i fascisti. L’uso del Corridoio Vasariano, che collega Palazzo Pitti a Palazzo Vecchio, fu cruciale per la comunicazione tra le varie brigate partigiane e il comando centrale. I partigiani riuscirono così a installare una linea telefonica e a coordinare l’insurrezione, che si sviluppò strada per strada, isolato per isolato.
Le forze alleate, composte principalmente dalla 2ª Divisione neozelandese e reparti britannici, attesero che i partigiani consolidassero il controllo del centro prima di attraversare l’Arno. Solo il 13 agosto le truppe alleate entrarono nella città, dopo che i partigiani avevano sgomberato gran parte del centro dai cecchini fascisti e dalle truppe tedesche in ritirata. L’avanzata alleata proseguì quindi verso nord, in direzione della Linea Gotica, per continuare la pressione contro le forze tedesche ormai in ritirata.
Il combattimento a Firenze proseguì fino alla fine di agosto, con gli ultimi scontri che si verificarono nelle aree intorno a Fiesole e Sesto Fiorentino. La città fu ufficialmente liberata il 1º settembre 1944, segnando il successo dell’insurrezione partigiana, che per la prima volta durante la campagna d’Italia stabilì un nuovo governo antifascista locale prima dell’arrivo delle forze alleate. La resistenza partigiana, che contava numerose perdite, dimostrò non solo una forza militare importante, ma anche una promettente vittoria politica nel quadro degli equilibri di governo post-bellici.
Italia, le battaglie in Appennino del settembre 1944
di Douglas Orgill
tratto da La storia della seconda guerra mondiale, Milano, Rizzoli Editore, 1967.
I due passi principali a Nord di Firenze si trovavano di fronte alla 5a armata. Il primo, che era anche il più agevole, era il passo della Futa, a 32 km da Firenze sulla Strada Statale 65 che porta sino a Bologna. Gli ingegneri della Todt che avevano progettato la Linea Gotica avevano previsto che gli alleati avrebbero concentrato qui il massimo sforzo. Le difese della Futa erano complesse, poderose, con sbarramenti di filo spinato, torrette corazzate interrate e quasi 5 km di fosso anticarro. Circa 11 km più ad est si trovava il passo del Giogo, sulla strada che portava da Firenze a Firenzuola e da qui ad Imola, sulla strada statale n°9. Anche questo passo era ben difeso da una catena di postazioni sistemate sui monti, però i tedeschi erano talmente ossessionati dall’idea di un attacco sulla Futa che avevano scartato la possibilità che il passo del Giogo potesse essere preso in considerazione dagli alleati. Ancora una volta : ” …fino all’ultimo uomo, fino all’ultima cartuccia ”
Di fronte a Clark, a est del passo della Futa, vi era la divisione dell’ala destra della 10a armata di Vietinghoff, la 715a fanteria. La 14a armata di Lemelsen non era composta da veterani sperimentati come quelli della 10a di Vietinghoff. Essa aveva subito perdite ingentissime durante la ritirata a nord di Roma e una parte delle sue riserve -ad esempio quelle della 4a divisione paracadutisti -era priva di esperienza, costituita da ragazzi che non avevano ancora sparato un colpo in un’azione di guerra. Il comando tedesco, quindi, faceva poco assegnamento su di loro. L’8 settembre venne emanato un ordine del giorno per il 12° reggimento della divisione paracadutisti schierato a guardia del passo del Giogo, in cui si diceva che ” la posizione dev’essere difesa fino all’ultimo uomo e fino all’ultima cartuccia, anche se il nemico dovesse irrompere da tutte le parti, anche sotto il tiro più violento delle artiglierie e dei mortai… “.
Clark attaccò il 10 settembre, impiegando il II corpo, a cavallo della strada statale n. 65 per attaccare il passo del Giogo, con il XIII corpo britannico sulla destra, dove il terreno era più difficile, e il IV corpo d’armata americano schierato lungo la Linea gotica sulla sinistra, per mantenere la pressione sul fianco. Il giorno successivo sia il II sia il XIII corpo d’armata avevano attraversato il Sieve e la fanteria americana si preparava ad attaccare due colli alti circa 900 m, le cime di Altuzzo e di Monticelli, che dominavano l’imbocco del passo del Giogo.
Il tenente generale Geoffrey Keyes, Comandante del II corpo d’armata, mandò all’attacco 1’85a divisione di fanteria. Il 338° reggimento della divisione diede l’assalto all’Altuzzo in un furibondo, cruento combattimento, che si protrasse dalla mezzanotte del 12 settembre alla sera del 14, e ricevette un’immediata dimostrazione del fermo proposito che animava i tedeschi, risoluti a non cedere la posizione. Gli americani subirono perdite ingenti sotto il tiro delle mitragliatrici Spandau e dei fucili eri appostati fra i massi e i cespugli dell’Altuzzo e all’alba del 15 il crinale dell’altura era ancora saldamente tenuto dal 12° reggimento paracadutisti. Sulla destra un altro reggimento americano – il 363° della 91 a divisione di fanteria – era riuscito ad avanzare fino a una novantina di metri dalla vetta del Monticelli, ma non si era potuto spingere più oltre, restando decimato dal tiro dell’artiglieria pesante.
Più a destra, tuttavia, la 1 a divisione di fanteria britannica, la quale aveva attaccato la 715a divisione di fanteria tedesca sul limite di settore delle due armate, riportò un importante successo. La sua 66a brigata di fanteria conquistò Poggio Prefetto, una delle posizioni avanzate della linea gotica, e Clark fu pronto ad approfittare dell’occasione favorevole facendo avanzare il 337° reggimento di fanteria americano attraverso le posizioni britanniche e conquistando Monte Pratone, ancora più all’interno delle linee tedesche.
Inoltre, il provato ma indomito 338° reggimento di fanteria americano era ritornato all’assalto all’Altuzzo e questa volta aveva potuto prendersi la rivincita. Nel corso delle ultime 48 ore anche i tedeschi avevano subito perdite altissime e stavano portando frettolosamente in linea la riserva del corpo d’armata paracadutisti -la brigata granatieri Lehr – ma l’artiglieria e i cacciabombardieri americani li tenevano sotto un fuoco così violento che la fanteria nemica dovette percorrere l’ultimo chilometro e mezzo strisciando sulle mani e sulle ginocchia. La brigata Lehr arrivò troppo tardi. Il 338° reggimento, che aveva ben assimilato la lezione cruenta dei due giorni precedenti, manovrò rapidamente e all’alba del 17 la vetta era nelle mani degli americani. Ben 252 dei 400 uomini delle compagnie fucilieri del battaglione attaccante erano rimasti uccisi o feriti durante i cinque giorni di combattimento.
Nuove speranze rianimarono il comando alleato. La 5a armata avanzò attraverso le complesse ma ormai aggirate opere difensive sul passo della Futa: il 21 di settembre gli americani occuparono Firenzuola, minacciando la strada statale n. 9, la quale aveva un’importanza vitale per le comunicazioni. Clark lanciò la sua eccellente divisione di riserva, l’883 americana, giù per la strada della valle del Santerno, verso Imola, nel tentativo di tagliare la via Emilia e di chiudere in trappola la 10a armata germanica.
Ma siccome 1’8a armata avanzava lentamente, impedita da un mare di fango, Kesselring poté disporre le sue operazioni di ripiegamento per accorciare la linea del fronte, mentre quella degli avversari si andava allungando, raggruppando nella valle del Santerno i reparti di quattro divisioni. Sebbene 1’88a divisione americana si fosse impadronita, dopo una violenta azione, della posizione chiave di Monte Battaglia, le truppe alleate non riuscirono a spingersi oltre. L’8a armata, dal canto suo, non fu più in grado di mantenere la pressione che avrebbe impedito a Kesselring di continuare a rinforzare il fronte opposto a quello di Clark. Il tempo era pessimo e le formazioni corazzate britanniche stavano scoprendo che la zona a nord di Rimini non era affatto la terra promessa che avevano sognato, bensì un terreno tutto tagliato da fossi e da canali che erano straripati.
La lenta avanzata in Appennino: settembre – dicembre 1944
Dopo la conquista di Firenzuola il 21 settembre, gli americani si erano diretti per la Valle del Santerno verso Castel del Rio, che fu liberata il 27 settembre 1944 per opera delle truppe americane del 351º Reggimento dell’88ª Divisione di fanteria statunitense, nota come Blue Devils. Il paese era difeso da un battaglione tedesco della 44ª Divisione fanteria, con circa 100 uomini. L’assalto americano iniziò alle 6 del mattino con un bombardamento di artiglieria, seguito dall’attacco dei fanti del 351º Reggimento. Intanto ad ovest sulla Statale 65 proseguiva l’avanzata della 91ª Divisione di Fanteria americana verso Covigliaio e Pietramala fino a Monghidoro, liberata il 27 settembre. Il Passo della Raticosa fu liberato il 29 settembre dopo aspri combattimenti con i tedeschi che avevano predisposto difese su Monte Bastione, Monte Oggioli, dominante l’intera vallata di Firenzuola, e su Monte Canda, su cui si trovavano anche alcune batterie antiaeree. I combattimenti furono importanti nel tentativo di forzare il passo tra le valli dell’Idice e del Sillaro, in condizioni di visibilità precaria a causa della nebbia. Il tempo si fece inclemente. Le piogge incessanti rallentarono l’avanzata, contribuendo non poco alla resistenza germanica, che trovò nel clima un ottimo alleato.
Loiano, centro strategico sulla Strada Statale 65 lungo la direttrice verso Bologna era difeso da unità della Wehrmacht della 65ª, 98ª e 362ª Divisione di Fanteria. I combattimenti furono particolarmente duri a causa delle fortificazioni preparate dai tedeschi e del terreno accidentato. L’operazione iniziò all’alba del 5 ottobre, quando la 91ª Divisione americana attaccò la cittadina dopo un breve ma intenso bombardamento di circa mille colpi di artiglieria. Dopo aver conquistato il centro abitato, le truppe americane iniziarono a setacciare casa per casa, stabilendo punti di difesa in previsione di un possibile contrattacco tedesco, che si verificò nel pomeriggio. Il contrattacco fu respinto, ma gli scontri proseguirono nei giorni seguenti nelle aree circostanti. Gli americani avanzarono verso Monte Castellari, posto tra Loiano e Livergnano, preso il 9 ottobre dopo ripetuti attacchi e un pesante fuoco di artiglieria, con una media di circa 4.500 colpi al giorno. Le operazioni in quest’area causarono gravi perdite agli Alleati, con circa 1.400 caduti americani solo nell’area di Loiano e Monte Castellari.
Livergnano, un piccolo paese arroccato su un imponente sperone roccioso a circa 500 metri di altitudine, costituiva una posizione strategica per le difese tedesche, che avevano fortificato l’area per bloccare l’avanzata degli Alleati verso Bologna. Le forze tedesche, principalmente la 65ª Divisione di fanteria, la 98ª Divisione di fanteria e la 362ª Divisione, disponevano di postazioni ben difese, supportate dalla conformazione del terreno che rendeva difficile l’avanzata alleata. Dal 9 ottobre 1944, la 91ª Divisione di fanteria americana e il 338º Reggimento avviarono l’attacco contro Livergnano, ma incontrarono una feroce resistenza tedesca. Gli americani subiscono pesanti perdite, e il villaggio stesso divenne teatro di aspri combattimenti casa per casa. Le perdite alleate furono alte: circa 2.500 soldati tra morti e feriti nel
Entro la fine di ottobre, l’avanzata verso Bologna rallentò drasticamente. Le perdite alleate, il terreno accidentato e le incessanti piogge resero quasi impossibile un ulteriore avanzamento. Il generale Mark Clark, comandante della 5ª Armata americana, fu costretto a sospendere l’offensiva verso Bologna a partire da novembre, nonostante fosse in disaccordo con l’ordine ricevuto dall’alto. Le truppe alleate rimasero bloccate sulle montagne dell’Appennino – beneficiando di brevi periodi di riposo a Montecatini Terme – fino alla primavera del 1945, rigenerandosi nei paesi liberati di Monghidoro, Loiano e Livergnano, mentre i tedeschi mantenevano le loro posizioni difensive lungo il contrafforte pliocenico dei gessi nella linea che unisce Monte delle Formiche, Val di Zena, Monte Adone, e Monte Battaglia verso Marzabotto. Una catena collinare con molte pareti strapiombanti denominata Linea “Cesare” (o Linea dei Gessi) che i tedeschi – ora coadiuvati in massa dall’esercito di Salò – utilizzarono ultima difesa naturale contro l’avanzata alleata verso la Pianura Padana. La difesa fu efficace e il sangue versato per superarla fu molto, mentre i reparti tedeschi migliori iniziavano ad essere dirottati in Cecoslovacchia nella resistenza contro i Russi che minacciavano Berlino.
Sebbene il fronte italiano fosse considerato secondario dopo lo sbarco in Normandia e la liberazione di Roma, gli scontri in Appennino dell’inverno ’44-’45 furono ferocissimi al pari di altri della Campagna d’Italia. Le truppe alleate, rallentate dal maltempo e dall’inverno, dalla mancanza di rimpiazzi e dall’ostinata resistenza tedesca, riuscirono però a mantenere la pressione dando luogo a molti mesi di guerriglia intercalati da momenti di addestramento prima della ripresa dell’offensiva. La guerra in Appennino si concluse solo nell’aprile del 1945 con le Operazioni “Grapeshot” (8a Armata UK) e “Craftsman” (5a Armata US).
Le Operazioni “Grapeshot” e “Craftsman” e le battaglie per la Liberazione di Bologna: la vittoria
L’offensiva della primavera del 1945 in Italia, chiamata Operazione Grapeshot, fu l’ultimo grande assalto delle forze alleate nella Campagna d’Italia e coincise con le ultime fasi della Seconda Guerra Mondiale, che portarono alla morte di Hitler e alla capitolazione della Germania. L’operazione ebbe inizio il 6 aprile 1945 e si concluse il 2 maggio con la resa di tutte le forze dell’Asse nel territorio italiano. I tentativi precedenti di sfondare la Linea Gotica tra agosto e ottobre 1944 non riuscirono a raggiungere la Pianura Padana, poiché l’arrivo dell’inverno rese impossibile proseguire le operazioni. Le truppe alleate trascorsero l’inverno del 1944 in condizioni difficili, mentre si preparavano per una nuova offensiva nella primavera del 1945.
Durante questi preparativi ci furono cambiamenti nelle catene di comando: Mark Wayne Clark sostituì Alexander come comandante delle forze alleate in Italia. Sul fronte tedesco, il generale Heinrich von Vietinghoff, comandante del LXXVI Panzerkorps, fu richiamato dal fronte del Baltico per prendere il posto di Kesselring in Italia. Fu affiancato da Joachim Lemelsen, che assunse il comando della 14ª Armata (AOK 14), precedentemente attiva in Polonia e riorganizzata nel 1943 per gestire la difesa del fronte meridionale europeo, in seguito all’uscita dell’Italia dalla guerra.
Le truppe alleate durante la campagna d’Italia subirono perdite significative a causa dell’invio di uomini su altri fronti, specialmente dopo l’Operazione “Dragoon” nell’agosto del 1944. La 8ª Armata, comandata dal tenente generale Richard McCreery, fu ridotta a sette divisioni operative, principalmente a causa di queste ridistribuzioni. La 5ª Armata statunitense, al contrario, ricevette rinforzi tra settembre e novembre del 1944, tra cui la Força Expedicionária Brasileira (FEB), con la sua 1ª Divisão de Infantaria Expedicionária, e la 10ª Divisione da Montagna statunitense nel gennaio 1945.
Le forze alleate contavano complessivamente circa 632.980 soldati britannici e 266.883 americani. Dall’altra parte, le forze dell’Asse in Italia, guidate da Heinrich von Vietinghoff e Joachim Lemelsen, erano decisamente inferiori, con 21 divisioni tedesche e quattro divisioni dell’Esercito Nazionale Repubblicano Italiano (ENR). In totale, i tedeschi schierarono circa 349.000 soldati e 45.000 italiani, oltre a 91.000 soldati tedeschi dislocati lungo le linee di comunicazione
Il piano e l’inizio dell’attacco dei britannici verso Argenta
Il piano di Clark era che l’Ottava Armata avrebbe attraversato i fiumi Senio e Santerno per poi dirigersi verso Budrio sulla Via Emilia e sulla Via Adriatica verso Bastia e Argenta, fino a Ferrara. La Quinta Armata USA avrebbe dovuto lanciare il suo sforzo principale successivamente nella valle del Po. La cattura di Bologna era considerata un compito secondario degli americani, rimesso alla Operazione “Craftsman”. Gli americani sull’Appennino avrebbero spinto inizialmente lungo la SS64 Porrettana verso Sasso Marconi, per raddrizzare poi il fronte dell’esercito e allontanare le riserve tedesche dalla SS65 per attaccare e prendere Bologna.
Nella prima settimana di aprile, furono lanciati attacchi diversivi all’estrema destra e sinistra del fronte alleato per tenere impegnate le riserve tedesche. L’assalto principale iniziò il 6 aprile, con un pesante bombardamento di artiglieria delle difese del Senio. Il 9 aprile 825 bombardieri sganciarono bombe a frammentazione, seguiti da incursioni caccia. L’artiglieria colpì pesantemente. La fanteria indiana, i neozelandesi e i polacchi attaccarono al tramonto. All’alta dell’11 aprile i new zealanders raggiunsero il Santerno, seguiti dalle truppe indiane. la 78a Divisione di Fanteria iniziò l’assalto su Argenta, mentre le truppe anfibie inglesi tentarono l’accerchiamento da Fossa Marina la notte del 14 aprile. La 78a Divisione di fanteria fu bloccata quello stesso giorno sul fiume Reno dalla resistenza tedesca.
L’attacco americano sulla SS64 e SS65 (Operazione “Craftsman”)
L’Operazione “Craftsman”, lanciata il 14 aprile 1945, faceva parte della più ampia offensiva “Grapeshot”, che segnò l’inizio della fase finale della campagna d’Italia. La 5th US Army sotto il comando del generale Lucian Truscott diede avvio all’assalto con il supporto di 2.000 bombardieri e altrettanti cannoni d’artiglieria, contribuendo in modo decisivo a sfondare le difese tedesche sugli Appennini e a penetrare nella Valle del Po. Sul fronte del IV Corps alleato – composto dalla 1ª Divisão de Infantaria Expedicionária Brasileira (FEB), dalla 10th Mountain Division e dalla 1st Armored Division – si concentrarono gli attacchi contro le posizioni tedesche. Parallelamente, nella notte del 15 aprile, l’azione proseguì con l’assalto della 6th Armoured Division Sudafricana e dell’88th Infantry Division Americana, le quali avanzavano lungo le vie di collegamento con Bologna SS64 “Porrettana” e la SS65 “della Futa”. In questa fase, le Divisioni Americane 91st e 34th furono impegnate in violenti scontri nella zona di Pianoro nel tentativo di sfondare la Linea “Cesare” posta lungo il contrafforte pliocenico sul bastione a strapiombo di arenaria che corre per 15 chilometri tra le valli dei fiumi Setta, Reno, Savena, Zena e Idice davanti Bologna.
In quest’area, la resistenza tedesca fu particolarmente agguerrita, rafforzata dalle unità della Repubblica Sociale Italiana (RSI), tra cui la Guardia Nazionale Repubblicana (GNR) e formazioni fasciste come la “Etna Division”, che collaborarono strettamente con la 65ª Infanterie-Division tedesca. I combattimenti furono aspri e le forze dell’Asse tentarono di difendere queste posizioni strategiche cruciali per mantenere il controllo dell’area. Tuttavia, la superiorità di fuoco degli Alleati e la mancanza di riserve adeguate da parte delle forze dell’Asse permisero loro di avanzare verso la pianura padana. Bologna fu liberata il 21 aprile 1945.
Lo sfondamento definitivo e la vittoria
Sul fronte dell’8th Army britannica, il 19 aprile 1945, fu sfondato il Passo di Argenta, permettendo il ricongiungimento con la 5th U.S. Army lungo il fiume Reno. Questo accerchiamento delle forze tedesche, che difendevano Bologna, portò il CLN (Comitato di Liberazione Nazionale) per l’Italia Settentrionale a proclamare l’insurrezione generale, provocando violenti scontri tra partigiani italiani e le truppe tedesche e fasciste della Repubblica Sociale Italiana (RSI), specialmente a Torino e Genova. Sebbene i tedeschi si preparassero a ritirarsi da Milano, continuarono a combattere su diversi fronti.
Bologna fu raggiunta la mattina del 21 aprile 1945 dalla 3rd Carpathian Rifle Division del II Polish Corps e dal Gruppo di Combattimento “Friuli” dell’esercito cobelligerante italiano, seguiti dal II Corps statunitense proveniente dagli Appennini. Bondeno fu presa il 23 aprile; il 24 aprile furono liberate Parma e Reggio Emilia dai partigiani italiani. Intanto, il IV Corpo Americano continuava la sua avanzata verso nord, raggiungendo il fiume Po a San Benedetto il 22 aprile, e conquistando Verona il 26 aprile. Sulla destra della 5th U.S. Army, il XIII Corpo Britannico attraversò il Po a Ficarolo il 22 aprile, seguito dal V Corpo Britannico che lo attraversò il 25 aprile, spingendosi verso Venezia. Contemporaneamente, la 1ª Divisão de Infantaria Expedicionária Brasileira (FEB), la 34th Infantry Division e la 1st Armored Division del IV Corpo Americano si diressero verso Piacenza.
Il 27 aprile, la 1st Armored Division entrò a Milano, già liberata dai partigiani il 25 aprile, mentre Torino fu liberata lo stesso giorno dalle forze partigiane, dopo cinque giorni di aspri combattimenti. Il 27 aprile, il generale Günther Meinhold consegnò i suoi 14.000 soldati ai partigiani a Genova. Vicino Collecchio-Fornovo, nei pressi di Milano, la FEB brasiliana accerchiò e catturò 13.500 soldati tedeschi e della RSI. Il 29 aprile, il V Corps britannico entrò a Padova, dove i partigiani avevano già imprigionato una guarnigione tedesca di 5.000 uomini.
Le trattative per la resa iniziarono già a marzo in Svizzera, ma furono ritardate dalle proteste sovietiche, che temevano una pace separata tra britannici e americani. Il 29 aprile, l’atto di resa incondizionata della Germania fu firmato presso la Reggia di Caserta, con l’indicazione della cessazione delle ostilità per il 2 maggio. Anche se il feldmaresciallo Albert Kesselring tentò di fermare l’iniziativa del generale Heinrich von Vietinghoff, alla notizia della morte di Hitler, accettò infine i termini della resa. Infine, il 1° maggio 1945, anche il maresciallo Rodolfo Graziani, capo di stato maggiore dell’Esercito Nazionale Repubblicano della RSI, si arrese e depose le armi.
La guerra era davvero finita.
Tristi numeri
Nella Campagna d’Italia gli Alleati persero attorno ai 313.000 uomini; i caduti tedeschi si stimano in 336.000; 64.000 civili italiani morirono sotto i bombardamenti, altri 10.000 nelle rappresaglie tedesche e fasciste; i partigiani ebbero intorno ai 35.000 morti. Oltre 700.000 persone.