La Resistenza in Italia e in Toscana

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Il periodo storico in cui il movimento resistenziale fu attivo va dall’Armistizio dell’8 settembre 1943 – il CLN Comitato di Liberazione Nazionale fu fondato a Roma il 9 settembre – ai primi giorni del maggio 1945. Durante questi venti mesi si ebbe l’alleanza tra gruppi partigiani di varia estrazione e di civili contro il regime fascista e l’occupazione nazista. Composto da persone con diverse ideologie, il contributo militare dei partigiani si fece più intenso nel 1944, con la diffusione delle organizzazioni armate e il supporto strategico degli Alleati. Le azioni partigiane contribuirono in modo importante alla Liberazione dei territori e alla resa incondizionata delle truppe tedesche il 3 maggio 1945.

La Resistenza nell’Italia occupata

Oltre al suo significato politico per il futuro dell’Italia, la Resistenza combattuta ebbe un impatto determinante anche dal punto di vista militare. Le operazioni di resistenza costrinsero circa 300.000 soldati tedeschi e reparti della Repubblica Sociale Italiana (RSI) a impegnarsi costantemente nel contenere le attività partigiane. Nella fase cruciale dell’autunno 1944, quando gli Alleati tentavano di sfondare la Linea Gotica, i partigiani inflissero perdite considerevoli alle forze tedesche, stimate intorno a 400 uomini al mese. Le azioni di sabotaggio, inoltre, rallentarono significativamente i lavori di fortificazione delle linee difensive tedesche sull’Appennino. Rapporti tedeschi riconoscevano che le attività partigiane rappresentavano una minaccia grave per le truppe al fronte, per i rifornimenti e per il funzionamento delle industrie di guerra italiane, che contribuivano per il 12% allo sforzo bellico tedesco.

La presenza dei partigiani limitava il controllo della RSI alle sole aree urbane e pianeggianti del Nord Italia, rafforzando l’ostilità verso tedeschi e fascisti. Questa situazione portò al fallimento della leva della RSI e impedì ai tedeschi di deportare circa tre milioni di lavoratori italiani in Germania. Le azioni dei partigiani contribuirono inoltre a salvare parte del patrimonio industriale settentrionale dalla distruzione durante la ritirata della Wehrmacht, facilitando la ripresa economica nel dopoguerra.

Dal punto di vista strettamente militare, la resistenza armata contro fascisti e tedeschi iniziò subito dopo l’Armistizio dell’8 settembre 1943 e si concluse con la liberazione dell’Italia settentrionale nell’aprile 1945. I primi gruppi di combattenti si organizzarono spontaneamente, ma nel corso dei mesi successivi il movimento si strutturò sotto la direzione dei partiti antifascisti, riuniti nel Comitato di Liberazione Nazionale (CLN). Questo organismo coordinava la resistenza attraverso le sue articolazioni regionali e le formazioni partigiane nei territori occupati dai tedeschi, sebbene le realtà locali operassero spesso con una certa autonomia.

Dal 1943 in poi, le “bande” partigiane si trasformarono in formazioni meglio organizzate, tra cui spiccano le Brigate Garibaldi (di ispirazione comunista e socialista) e il movimento Giustizia e Libertà (laici progressisti), affiancate da gruppi cattolici e formazioni monarchiche in Piemonte. Alla fine del conflitto, nella primavera del 1945, le formazioni partigiane contavano circa 120.000 combattenti attivi. In totale, nei venti mesi di occupazione tedesca, circa 200.000 partigiani presero parte ai combattimenti in montagna, mentre altri 100.000 erano attivi nelle città. Le perdite tra i partigiani furono elevate: si stimano 45.000 morti, 21.000 feriti gravi e circa 10.000 vittime civili delle rappresaglie tedesche e fasciste, con episodi particolarmente violenti in Toscana.


Bibliografia di riferimento

  • F.W.D. DEAKIN, The Brutal Friendship: Mussolini, Hitler and the Fall of Italian Fascism, Weidenfeld & Nicolson, 1962.
  • G. BOCCA, Storia dell’Italia partigiana, Laterza, 1966.
  • S. PELI, La Resistenza in Italia. Storia e critica, Einaudi, 2004.
  • A. BRAVO, Resistenza e storiografia: Temi, interpretazioni, revisioni, Franco Angeli, 2005.
  • M. BATTINI, La guerra civile italiana (1943-1945), Einaudi, 2011.
  • P. COOKE, The Italian Resistance: An Anthology, Manchester University Press, 2013.

La Resistenza in Toscana

La resistenza toscana, sebbene di durata più breve rispetto a quella del Nord Italia, ebbe un impatto significativo dal punto di vista militare e politico, soprattutto a causa della liberazione della regione entro la fine del 1944. In totale, si stima che quasi 30.000 toscani abbiano preso parte alla resistenza come combattenti e patrioti. Una caratteristica distintiva della resistenza toscana fu il forte coordinamento tra le forze partigiane e il Comitato Toscano di Liberazione Nazionale (CTLN), che non solo fornì direzione politica, ma organizzò le operazioni militari e amministrative.

Nel giugno del 1944, il CTLN si autoproclamò legittimo organo di governo della regione, pianificando una serie di operazioni per prendere il controllo delle città liberate prima dell’arrivo degli Alleati. Questo obiettivo fu raggiunto con successo in vari contesti, come nel caso di Firenze, passata sotto il controllo partigiano l’11 agosto 1944, nonostante il tentativo degli Alleati di disarmare i partigiani. La determinazione di questi ultimi portò alla revoca dell’ordine, evidenziando il loro ruolo cruciale nella liberazione della città.

Il tessuto sociale della Toscana, fortemente legato all’agricoltura, influenzò profondamente la resistenza locale. Il sostegno fornito dai contadini ai partigiani si rivelò vitale, sia in termini di sopravvivenza, sia per le attività di guerriglia. Le bande partigiane, composte in gran parte da giovani toscani, attuavano azioni di sabotaggio e sottrazione di beni agricoli destinati all’ammasso fascista, restituendo una parte delle risorse ai contadini, con i quali condividevano una comune speranza di riscatto sociale nel dopoguerra.

Una delle aree più attive durante la fase finale della resistenza fu la zona appenninica tra Firenzuola e Imola, nonché le Apuane e la Garfagnana, dove la resistenza raggiunse un livello di organizzazione e intensità paragonabile a quella del Cuneese.

Un caso controverso di stretta collaborazione militare tra Alleati e Partigiani

Tra le formazioni più significative vi fu la 36ª Brigata Garibaldi “Bianconcini”, che operava principalmente nell’Imolese. Dopo aver sfondato la Linea Gotica al Passo del Giogo e successivamente al Passo della Futa, nella seconda metà di settembre del 1944, la 5ª Armata Americana avanzò verso Firenzuola, puntando in direzione di Castel del Rio e Imola. Ma vi era l’ostacolo naturale da superare di Monte Battaglia, situato tra Casola Valsenio e Castel del Rio, presidiato dalle formazioni tedesche. In particolare dalla 305. Infanterie-Division e alla 362. Infanterie-Division.

I partigiani del 3º Battaglione della 36ª Brigata Garibaldi “Bianconcini”, guidati da Carlo Nicoli, riuscirono a conquistare il monte e le alture circostanti di Monte Carnevale e Monte Cappello. Il 27 settembre, i fanti della 88ª Divisione di Fanteria “Blue Devils” statunitense raggiunsero Monte Battaglia. Nel rapporto del comandante del 350º Reggimento americano si legge: «Il II Battaglione si impadronì di Monte Battaglia senza opposizione alle 14 circa, trovando la montagna già presidiata da un battaglione di patrioti italiani». Tuttavia, quel pomeriggio stesso le truppe tedesche lanciarono un feroce contrattacco. Respinti una prima volta, tornarono a colpire senza successo il giorno seguente, così come il 29 e il 30 settembre. Per quattro giorni, partigiani e americani combatterono fianco a fianco contro i ripetuti assalti tedeschi.

In seguito, gli alleati sostituirono i soldati statunitensi con un reparto britannico, il cui ufficiale riportò nel suo rapporto: «Il castello, ormai in rovina, è soggetto a un bombardamento continuo. I cadaveri dei soldati americani sono sparsi ovunque…”. La battaglia costò agli alleati circa 2.000 morti. Nonostante il loro contributo, i partigiani della 36ª Brigata Garibaldi furono successivamente disarmati e inviati nelle retrovie. La loro partecipazione a Monte Battaglia non venne menzionata nei bollettini di guerra alleati. Come ha osservato uno storico americano: «La verità, che i censori proibirono di diffondere all’epoca, è che furono le truppe partigiane italiane operanti in questo settore le prime a occupare Monte Battaglia, mantenendolo fino all’arrivo delle forze americane». Questo per motivi politici e di opportunità militare certamente, di censura e propaganda, in quanto la “Bianconcini” era d’orientamento comunista; sia per questioni di priorità operative, di affidabilità e di prestigio nazionale. Comunque sia, a Monte Battaglia si trattò di una significativa collaborazione tra forze partigiane italiane e truppe alleate, che nel panorama italiano costituisce un caso straordinario e non la norma.

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Bibliografia di riferimento

  • M. PORZIO, La Resistenza armata: Battaglie partigiane nell’Italia occupata, Laterza, 2006.
  • A. D’ANGELO, La 36ª Brigata Garibaldi “Bianconcini” e le battaglie sull’Appennino tosco-emiliano, Edizioni Libreria Universitaria, 2008.
  • G. GAGLIANI, Le battaglie della Linea Gotica, Editoriale Lupo, 2009.
  • G. OLIVA, La guerra partigiana in Italia: storia della Resistenza, Mondadori, 2011.
  • P. LIVI, Resistenza e guerra partigiana in Toscana, Edizioni Medicea, 2013.

La Resistenza in  Mugello: un caso particolare

tratto da Ferdinando GATTINI, Giorni da Lupo. Fascismo e resistenza a Vicchio di Mugello tra l’estate ’43 e l’estate ’44, Comune di Vicchio, 1995.

Il Mugello in quel periodo presentava la fisionomia di un’area tendenzialmente povera. Il Mugello, si è sempre caratterizzato, fin dall’antichità come terra di passaggio verso la Romagna, attraverso la Faentina (di origine etrusca), e verso i popoli del Nord, della Padania, attraverso i valichi appenninici, ma nonostante fosse attraversato da importanti vie di comunicazione le sue capacità di relazione economica e sociale si risolvevano quasi esclusivamente nel rapporto con Firenze con scarsi contatti con altre realtà. La sua struttura economica era basata su una realtà industriale scarsamente sviluppata (fatta di piccole industrie e concentrata per lo più nei comuni di Barberino e di Borgo San Lorenzo) ed un’agricoltura scarsamente agevolata dalla conformazione del suo territorio. L’agricoltura costituiva la risorsa più importante ed era concepita secondo gli schemi della mezzadria tradizionale, con fattorie di notevoli dimensioni, divise in poderi, nei quali vivevano e lavoravano intere famiglie di contadini. A fronte di questa situazione, pensare che la partecipazione della popolazione del Mugello alla Resistenza sia stata marginale è µn valutazione sbagliata. Al contrario, quello che accadde in questa terra ha assunto grande importanza strategica per il successivo sviluppo della lotta di liberazione in tutta la regione. Fattore fondamentale è stata la configurazione del suo territorio e per la contiguità con Firenze.

La Resistenza toscana fu di breve durata rispetto a quella di altre regioni del nord Italia, ma fu un movimento assai vasto e bene organizzato, teso a conquistare il consenso della popolazione per proporsi come forza di autogoverno delle zone liberate dagli alleati. In Mugello le formazioni più importanti erano la 2a Brigata “Carlo Rosselli” di Giustizia e Libertà, costituita a Ronta nell’ottobre 1943; e la 36a Brigata Garibaldi “A. Bianconcini”, attiva dal gennaio 1944 e arrivata a contare più di 1.250 partigiani impegnati in azioni importanti come l’occupazione di Palazzuolo e Firenzuola. A queste si affiancavano varie ‘bande’ minori. Con la stabilizzazione del fronte sulla Linea Gotica, il passaggio appenninico diviene fondamentale, sia per i tedeschi che per gli alleati. Per questo l’area fu fortemente interessata dal passaggio della guerra, e le popolazioni non risposero in maniera passiva alle esigenze della lotta di liberazione. Il rapporto con Firenze è invece una costante sempre presente nella storia del Mugello, che ha vissuto, si è sviluppato, si è costruito un’identità nel rapporto e nelle risorse che ha dato all’evolversi della storia fiorentina. Durante la Resistenza questo rapporto vive una stagione di grande intensità, non solo per il contributo dei giovani mugellani che, al fianco di “Potente”, contribuirono alla liberazione della città, ma perché qui, i partigiani fiorentini trovarono rifugio, possibilità di organizzarsi e di fare un’azione di proselitismo. In questo quadro si genera l’origine del movimento partigiano.

La nascita e la crescita del movimento partigiano nella Provincia di Firenze, ha avuto il suo centro nel Mugello e principalmente sul Monte Giovi. Il movimento in Toscana è sorto e cresciuto in modo diverso da come è avvenuto al nord. A nord interi raggruppamenti di esercito regolari presero la strada della montagna ed assunsero, già dai primi tempi, caratteristiche di vere formazioni militari. Questo, in particolar modo in Piemonte, anche se successivamente le stesse furono integrate da civili che volontariamente presero la strada della montagna. Vi è quindi una diversità sostanziale tra le formazioni partigiane della Toscana e quelle del nord, sia di carattere politico che militare, maturata anche nel periodo in cui queste hanno operato. Al nord è forte, almeno in una parte del movimento, una chiara forma di inquadramento militare, soprattutto nel modo di combattere. Vi sono differenze anche negli orientamenti politici ai quali le diverse formazioni si richiamavano, principalmente a nord, dai garibaldini a Giustizia e Libertà, con tanti autonomi che si richiamavano al movimento cattolico, come pure interi raggruppamenti chiaramente monarchici. Assenza assoluta o quasi di questi ultimi movimenti in Toscana. Organizzazione paramilitare o militare del nord, spontanea e popolare in Toscana, nelle cui file non vi sono elementi militari se non raramente, e non certo determinanti, con qualche ufficiale e l’assenza assoluta di ceto medio, anche intellettuale.

I partigiani toscani assomigliano più agli uomini di Pancho Villa che ad un esercito, basta guardare le fotografie dell’epoca. Nel nord, in particolare in Piemonte, vi erano ufficiali di ogni grado, provenienti dall’esercito, che hanno caratterizzato anche l’inquadramento militare delle stesse formazioni. Non dimentichiamo poi che la diversità nel movimento partigiano in Toscana da quello del nord è segnata dalla diversità nelle condizioni socio-economiche delle due zone, non solo dalle diverse condizioni geografiche. Si pensi alle campagne toscane, interamente popolate da contadini mezzadri, il cui rapporto con il padrone è di sudditanza e pieno sfruttamento. Per il contadino la lotta partigiana e l’opposizione al fascismo significa il riscatto della sua condizione, l’affrancamento dal continuo ricatto del proprietario che in ogni momento poteva togliergli la terra: la propaganda dei partiti di sinistra, aveva posto con chiarezza questo serio problema. Anche per questo i contadini toscani furono i primi ad aiutare i partigiani e divengono parte integrante delle stesse formazioni. Queste considerazioni sono utili per cogliere le condizioni in cui operavano i partigiani in questa realtà e che nel mese di maggio si trovavano a gestire una situazione di relativa calma. Non avvennero scontri di rilievo perché le pattuglie partigiane cercarono di evitarli. Innanzitutto c’era bisogno di rafforzarsi, di predisporsi per un nuovo impegno. Si volevano evitare eventuali rappresaglie contro le popolazioni civili che già tanto avevano sofferto nei mesi precedenti, ed anche perché stavano maturando grossi eventi militari.

Gli eserciti alleati stavano avvicinandosi a Roma. Le forze partigiane della Toscana avranno di lì a poco i nuovi problemi in quanto dovranno operare nelle retrovie del nemico, e quindi non sarà possibile evitare scontri. I tedeschi scorrazzavano per la vallata e con l’avvicinarsi del fronte iniziano i rastrellamenti: fanno razzia di tutto ciò che ad essi serve. Non hanno più rifornimento di viveri e quindi se li procacciano nelle campagne. I contadini cercano di salvare il salvabile nascondendo le loro bestie ovunque. Anche gli uomini non sono sicuri. I giovani e gli uomini in età da arruolamento vengono catturati per essere inviati in Germania, chi si ribella rischia di essere ucciso. Infatti il Mugello rappresenta uno dei casi dove la collaborazione tra contadini e partigiani fu più proficua. Tanto più un’area ancora saldamente “bianca” e cattolica, con una fonte tradizionale mezzadrile, dove però nel corso della lotta partigiana i comunisti rappresentarono senza alcun dubbio la forza largamente egemone.

Dalle prime azioni improntare sulla spontaneità e sul coraggio individuale dei singoli, ai primi raggruppamenti a Gattaia, a Villore, a Monte Giovi, alle discussioni per trovare forme organizzative adeguate all’esigenza di un coordinamento con i partigiani che venivano da Firenze, sino alla successiva necessità di una direzione politica. Si comprende anche un dato di grande importanza, che ancora deve essere studiato: la capacità che ebbe il movimento partigiano locale di adeguarsi alle varie fasi della lotta, che non sono solo esigenze militari, ma anche organizzative e politiche. Vedi il passaggio da una lotta spontanea, per piccoli gruppi, alla necessità di un coordinamento, l’acquisizione di una struttura politica ed organizzativa autorevole, ad una forza di lotta per dei precisi obbiettivi e con delle finalità di governare. Tutto questo presuppone l’acquisizione di una consapevolezza precisa, capace di trasferire l’aspirazione alla libertà, la rabbia contro gli oppressori in qualcosa di più duraturo e mirato.

Questo dato esige una duplice riflessione: politica e storiografica. Per quanto riguarda la prima è necessario rilevare che, nel rapporto tra contadini e partigiani, quest’ultimi ebbero l‘intuizione e l’accortezza di farsi carico di precise esigenze dei contadini. La difesa del suolo, la difesa del patrimonio zootecnico, la difesa del raccolto nei confronti dei proprietari, erano parole d’ordine largamente condivise sia dagli uni che dagli altri, perché erano anche condivise le condizioni di vita ed i relativi problemi. Questo spiega perché ci fu un legame così profondo, che in altre realtà i nazifascismi cercarono di rompere con stragi ed eccidi (l’eccidio di Padulivo, l’eccidio di Campo di Marte, la distruzione di Vicchio). La seconda riflessione introduce un elemento di grande rilevanza storica: nel dopoguerra il Mugello appare come un’area segnatamente di sinistra, con una forte presenza comunista. La situazione non era così caratterizzata prima della guerra. Un approccio alla comprensione deve partire da lontano, quando, tra la fine del secolo e i primi decenni de1‘900 il Mugello è ancora considerato come terra con caratteristiche strutturali arcaiche, semifeudali, con una forte presenza della chiesa (anche sotto il profilo economico) una forte aristocrazia e una rigida mezzadria come elemento portante dell’economia. Con la nascita del movimento socialista i rapporti sociali non modificano di molto. Sarà la grande guerra la cesura tra una mentalità ed un’altra. L‘egemonia cattolica si trasforma. Nascono sindacati ed organizzazioni bianche, non più controllabili dai proprietari e con l’affermazione del fascismo nasce anche il conflitto con il movimento cattolico.

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