La Redazione
Gotica Toscana e tutte le altre associazioni che si dedicano a mantenere viva la memoria dei veterani che hanno combattuto durante la Seconda Guerra Mondiale lavorano per onorare il coraggio di questi uomini, che sta a fondamento della nostra Libertà. Ricostruire la vicenda di un soldato caduto sul suolo italiano e riunirlo alla memoria della sua famiglia è uno degli scopi di queste associazioni. Talvolta, il ritrovamento di oggetti personali, come in questo caso, di un gavettino abbandonato, permette di ricostruire il legame interrotto tra i famigliari e il giovane partito per una guerra dalla quale non sarebbe più tornato.
Questa è la storia di Wesley Vietti Karna, nato il 24 agosto 1922 dagli immigrati finlandesi Erick e Ida Kara, ad Adams Township, nel Michigan, dove Karna è cresciuto. La sua era una famiglia di minatori numerosa, di 8 fratelli e sorelle. Nell’aprile 1944, quando aveva appena 21 anni, Karna è in viaggio per il Nord Africa come soldato semplice della Compagnia F del 362° Reggimento della 91a Divisione Fanteria dello US Army. Dopo l’addestramento iniziale a Camp White, in Oregon, la Divisione partecipa alla Oregon Maneuver, la più grande esercitazione militare sul campo nel Pacifico nordoccidentale. In Nord Africa, l’addestramento della Divisione continua ad Arzew e Renan, nel Marocco francese. Nel mese di giugno 1944 la 91a Divisione Fanteria viene inviata in Italia come parte del 2° Corpo della 5a Armata americana. Karna era un membro della Compagnia F, 2° Battaglione, 362° Reggimento di Fanteria, 91° Divisione, II Corpo, Quinta Armata degli Stati Uniti che combatté sulla Linea Gotica contro i paracadutisti tedeschi.
A raccontarci la sua storia (e del suo gavettino) è Manuel Noferini.

di Manuel Noferini
Negli ultimi giorni di settembre del 1944 la guerra passò per una foresta impervia poco più a nord del passo della Futa, a brevissima distanza da dove la terrorizzata popolazione civile del Covigliaio, un paese vicino, si era rifugiata. Lì si affrontarono i paracadutisti tedeschi dell’11°Reggimento ed i fanti della 91a Divisione statunitense.
I tedeschi erano pochi e in molti casi si trattava di rimpiazzi giunti al fronte solo alcuni giorni prima e con pochissima o nessuna esperienza di combattimento. In compenso i quadri erano validissimi, e sapevano bene utilizzare il materiale umano a loro disposizione. Avevano scelto quel luogo per resistere perché era poco esposto, ma al tempo stesso permetteva di mantenere il controllo della vicina Statale 65, anche senza starci troppo a ridosso. Gli americani attaccarono: i tedeschi si difesero, e bene. I paracadutisti erano anche appoggiati dal tiro preciso di alcuni pezzi di artiglieria da ’88, che colpirono numerosi nemici che avanzavano allo scoperto. La battaglia durò un giorno e una notte. I civili li sentirono combattere, vicinissimi. Poi piano piano la cadenza dei colpi diminuì, e il rumore degli spari fu via via sostituito dallo sferragliare degli stivali dei soldati in ritirata, che scendevano a valle lungo il vicino torrente. Carichi di armi e di nastri di munizioni, facevano un gran rumore; e questo alla popolazione rimase molto impresso.
All’alba arrivarono gli Americani. I civili frastornati uscirono dai rifugi e si avviarono verso le loro case. Non avevano idea se le avrebbero trovate ancora in piedi. Rientrando, dovettero attraversare il campo di battaglia. Il terreno ancora fumante era cosparso di morti, forse un centinaio. Per lo più si trattava di tedeschi, ma vi erano anche molti americani. Quando la gente arrivò al paese, fu una sorpresa: era ancora per lo più intatto, a parte qualche tetto sfondato dalle cannonate. I muri portanti erano ancora tutti in piedi. Le case all’interno erano state in parte razziate, ma i danni furono limitati perché da rubare in quel povero paese c’era ben poco. Una cosa di cui tutti però si accorsero fu… la mancanza completa di comodini! Da ogni camera da letto erano stati portati via, e la spiegazione è banale: gli americani li usavano per accendere il fuoco. Ma perché non un armadio o un cassettone? Perché i comodini erano più facili da sfasciare, si faceva meno fatica.
Molti decenni dopo, proprio in mezzo a quel bosco fuori mano, è saltato fuori un gavettino di acciaio inossidabile, rinvenuto nel corso di un sopralluogo di Gotica Toscana. Era scivolato dal bordo di una “foxhole” americana, giù per una piccola scarpata. La buca individuale faceva parte di un gruppo abbastanza consistente individuato poco tempo prima, che con ogni probabilità era stato scavato dagli stessi americani che presero parte alla battaglia. Di lì dovevano essere partiti per attaccare le posizioni tedesche.
Ma c’è di più.
Guardando tra le macchie di ruggine lasciate dal manico in ferro, ormai completamente disgregato, si intravedeva una scritta. Ripulendo con cura l’oggetto quelli che potevano inizialmente apparire dei semplici graffi assunsero una forma ben definita, una serie di lettere leggermente incise sul metallo. Era un lavoro fatto alla svelta, nulla di artistico, perché doveva solo servire a riconoscere il proprio gavettino fra quelli degli altri.
“Karna”, si leggeva chiaramente, e poteva essere un cognome o al massimo un soprannome. Chissà se sarebbe mai stato possibile risalire al proprietario! Inizialmente sembrava di dover cercare il classico ago nel pagliaio, ma una breve ricerca sul Web confermò che doveva trattarsi di un cognome, tra l’altro non molto diffuso.
Oltre al cognome, del militare si sapeva che nel 1944 era in Italia, e che con ogni probabilità faceva parte della 91st Infantry Division. Si proseguì con la ricerca, sfruttando tutte le risorse a cui si poteva accedere dall’Italia. Furono trovati diversi riscontri: un discreto numero di giovani americani arruolati nell’Esercito che facevano Karna di cognome. Su questi, per ognuno di loro, si cercarono informazioni più precise, finché non si arrivò a Wesley. Questo giovane di ventidue anni purtroppo non sopravvisse alla guerra. È una storia che riscoprendola mette i brividi. Morì lo stesso giorno in cui perse il gavettino, il 24 settembre 1944.
Probabilmente fu colpito da un colpo da ‘88 sparato dai Tedeschi mentre si preparava ad attaccare i paracadutisti dell’11° Reggimento sul colle del Covigliaio. Come già menzionato, si sa infatti che la zona fu bombardata dagli ‘88 tedeschi, che avevano individuato con precisione la posizione del nemico. Dagli archivi risulta che Wesley morì per ferite multiple da scheggia, quindi questa ricostruzione è piuttosto verosimile.
Il suo corpo venne recuperato dal campo di battaglia, fu sepolto nel cimitero militare di Castelfiorentino, e lì rimase fino a quando nel dopoguerra i suoi resti furono rimpatriati, su richiesta della madre.
Wesley era del Michigan, e proveniva da una famiglia di minatori di origine finlandese con 8 figli, di cui due coppie di gemelli. I fratelli e le sorelle sono ormai tutti morti, ma vi sono oggi numerosi nipoti e pronipoti, sparsi per tutti gli Stati Uniti. C’è pure uno di loro, nato nel 1945, che si chiama proprio come lui: Wesley.
Grazie all’interessamento dell’amico Andrew Biggio, autore del libro “The Rifle” che raccoglie le testimonianze di numerosi combattenti americani della Seconda guerra mondiale, è stato possibile mettersi in contatto con la famiglia, che non ha mai dimenticato il giovane figlio caduto in una terra lontana. E così, il 13 maggio 2023 una rappresentanza della famiglia Karna è giunta dal Michigan per ricordarlo e per riportare a casa il piccolo cimelio che gli appartenne. Si tratta di Brad Uren e della madre Susan, figlia quest’ultima di Irene, una delle sorelle di Wesley. Sul luogo in cui il militare trovò la morte è stato collocato un cippo commemorativo a lui dedicato, mentre presso la sede del MuGot a Ponzalla è stata inaugurata in loro presenza una targa in onore del 362° Reggimento di Fanteria, voluta dalla famiglia di un altro veterano che ne aveva fatto parte, il sottotenente Cleron J. Carpenter.