Il testo che segue è tratto dal volume
AA.VV., 1943-1945. La Liberazione in Toscana: la storia, la memoria, Firenze, Giampiero Pagnini Editore, 1994.
In particolare, diamo qui notizia di cosa accaduto in quegli anni nei principali Comuni della Provincia di Firenze e segnatamente del Mugello maggiormente coinvolti nelle vicende della guerra di liberazione.
Barberino di Mugello
Nel Comune di Barberino di Mugello l’antifascismo si era profondamente radicato; prova ne fu l’imponente manifestazione avvenuta nel 1936, in occasione dei funerali di Cirillo, un giovane calzolaio comunista morto suicida. Così, subito dopo la proclamazione dell’armistizio, furono intraprese delle iniziative per contrastare i nazifascisti. Pochi giorni dopo l’8 settembre, si costituì il Comitato di Liberazione Nazionale (C.L.N formato dai comunisti Cera, Mengoni, Bicchi e Banchelli, dai demo cristiani Fava e Collini e dai socialisti Borsotti e Dreoni.
Sin dall’inizio la Resistenza potè contare sull’appoggio della stragrande maggioranza della popolazione; su oltre 10.000 abitanti, furono soltanto 17 le persone che andarono al nord con i tedeschi e la Repubblica di Salò. Un contributo notevole alla Guerra di Liberazione venne dato dal giovane clero barberinese, con in testa il pievano Don Giuseppe Focacci. Barberino, facendo leva sulla sua campagna, si trasformò in un centro di raccolta e di rifornimento delle prime formazioni partigiane del Mugello. Nella battaglia della Fonte dei Seppi, alle pendici di Monte Morello; tra i tedeschi e la Brigata Fanciullacci, costituita da molti giovani del Comune, persero la vita quattro barberinesi: Raffaello Biancalani, Corrado Frigidi, Alfredo Landi e Nello Braccesi.
La guerra lasciò profonde ferite a Barberino, dal quale la Linea Gotica distava appena una decina di chilometri: furono distrutte tutte le più importanti opere pubbliche e la Liberazione, avvenuta: l’11 settembre 1944, trovò il paese ridotto in gravissime condizioni. L’indomani il C.L.N. costituì la prima amministrazione comunale, composta da Giuseppe Fava, sindaco (una figura molto stimata, ancora presente nella memoria della gente), Severino Gera, Renato Mengoni, Venturino Baldini, Vasco Biechi, Ferdinando Borsotti e Angelo Collini. Le elezioni amministrative del 1946 sancirono la vittoria dei Socialcomunisti che espressero il sindaco nella persona di Vasco Biechi, comunista (da notare che, dalle elezioni per l’Assemblea Costituente, diversamente da tutti gli altri centri mugellani, il PCI fino al 1990 ha sempre avuto la maggioranza assoluta dei suffragi).
Ancor prima del tessuto economico, a Barberino si ricostituì quello sociale e politico: i tre partiti maggiori, PCI, DC e PSI dimostrarono subito un radicamento assai forte, si organizzarono circoli e associazioni, riprese vivace l’attività di volontariato. Sul versante economico, per cercare di far fronte alla drammatica situazione occupazionale, vennero create diverse cooperative di lavoratori: nacquero così le cooperative dei minatori (nei pressi del paese vi sono vasti giacimenti di lignite, oggi abbandonati), dei muratori, dei calzolai. Alle difficoltà del dopoguerra si aggiunse poco dopo il fenomeno dell’abbandono delle campagne; Barberino passò dagli oltre 10.000 abitanti che aveva negli anni Venti ai poco più di 7000 della fine degli anni Sessanta. Furono anni di grave impoverimento, i centri rurali diventarono paesi fantasma; la stessa vita sociale e culturale ne risentì. Ma successivamente, il Comune poté beneficiare della generale ripresa economica grazie anche alla costruzione dell’autostrada del Sole.
Barberino, da comunità prevalentemente agricola, si trasformò in pochi anni nel principale polo industriale del Mugello, insieme a Scarperia. Ciò ha provocato una consistente immigrazione dal sud, in particolare dalla Basilicata, avvenuta senza particolari traumi, a testimonianza delle risorse di solidarietà e di accoglienza ancora ben presenti nella popolazione. Le amministrazioni che si sono succedute sono riuscite a far fronte alle aumentate esigenze della popolazione; sono stati realizzati nuovi servizi sociali, nuove scuole, l’asilo nido, le palestre e gli altri impianti sportivi. Infine è stato ricostruito il teatro comunale Bartolomeo Corsini, la più moderna struttura del genere nell’intero territorio mugellano.
- Elezioni amministrative (sistema maggioritario), turno del 6 ottobre 1946:
Socialcomunisti voli 3747 (76,6%); DC voti 1145 (23,4%) - Elezione per l’Assemblea Costituente, 2 giugno 1946:
DC voti 1443 (22,2%): PCI voti 3337 (51,4%): PRI voti 37 (0,6%); PSIUP voti 1201 (18,5%); UDN voti 105 (1,6%); UQ voti 222 (3,4%); Altri voti 151 (2,3%) - Referendum Istituzionale, 2 giugno 1946:
Repubblica voti 5286 (83,9%); Monarchia voti 1014 (16,1%)
Borgo San Lorenzo
La popolazione di Borgo San Lorenzo, soprattutto i mezzadri, che allora ne rappresentavano la maggioranza, visse i tumultuosi avvenimenti seguiti al colpo di stato del 25 luglio 1943, come l’occasione per liberarsi dii secolari vincoli di soggezione, messi in discussione dalle lotte del 1920 per la revisione del contratto colonico, ma subito ribaditi dal regime fascista. Il sollievo e la gioia popolare per la caduta dell’odiato regime si espresse immediatamente.il giorno successivo con una grande manifestazione, nel corso della quale furono distrutti i simboli e le scritte fasciste sugli edifici pubblici e privati.
Per prevenire le vendette dei perseguitati e reprimere l’estendersi dei disordini i carabinieri reagirono con arresti e fermi di alcuni dimostranti; fu questa la prova più evidente che il governo Badoglio non rappresentava una vera rottura con il passato, anche se ai partiti antifascisti era stato concesso di uscire dalla clandestinità e di riprendere i contatti con la realtà sociale e produttiva della valle mugellana. Particolarmente attivi nella zona furono il Partito Comunista ed il Partito d’Azione che diffusero la parola d’ordine di resistere con ogni mezzo all’occupazione tedesca.
Con l’armistizio dell’8 settembre si formarono in tutto il Mugello diverse bande partigiane; a Borgo San Lorenzo si costituì la Brigata Lavacchini, al comando di Donatello Donatini (Dona), che si distinse subito per un attacco ai silos del Consorzio Agrario, da cui venne sottratto un grosso quantitativo di grano proveniente dagli ammassi forzosi. In questo modo si creò uno stretto legame tra la lotta contro le requisizioni dei tedeschi e gli interessi dei mezzadri che non vennero defraudati più dei frutti del loro lavoro.
A Ronta operava un gruppo partigiano che faceva capo a Giustizia e Libertà, diretto da Riccardo Gizdulich (capitano Bianchi). Per tutto l’inverno del 1944 i partigiani borghigiani furono impegnati nel lavoro di rifornimento e di collegamento con le altre brigate operanti nella zona di Gattaia e Monte Giovi e nell’assistenza alle famiglie sfollate nella zona di San Cresci, dopo che il disastroso bombardamento alleato del 30 dicembre 1943 (che provocò un centinaio di morti fra i civili) aveva imposto l’evacuazione del paese. Questa attività di sostegno logistico, non cessò neppure dopo il successo dell’attacco dei partigiani al paese di Vicchio avvenuto il 6 marzo 1944, che provocò una dura reazione dei nazifascisti che obbligarono le Brigate ad un ripiegamento verso il Falterona ed il Pratomagno.
Nello stesso mese di marzo si costituì il locale Comitato di Liberazione Nazionale, presieduto da Donatello Donatini, del quale facevano parte anche Danilo Dreoni, Antonio Comucci, Luigi Niccolai, Attilio Fredducci e Ismaello Ismaelli. Quest’ultimo, “leggendario” contadino del triangolo Ronta-Panicaglia-San Giovanni, fondatore delle leghe bianche mugellane, nella Guerra di Liberazione collaborò attivamente con la Brigata Rosselli che operò nel medio e nell’alto Mugello. Nelle settimane successive, mentre l’esercito alleato continuava lentamente la sua avanzata, la struttura repressiva della Repubblica di Salò si andò progressivamente disgregando. I partigiani intensificarono gli attacchi sia per salvare il bestiame dalle razzie, sia per sottrarre il nuovo raccolto di grano alle requisizioni, ricorrendo, per questo, anche al sabotaggio delle trebbiatrici meccaniche.
Quando l’11 settembre 1944 le truppe alleate arrivarono nel Mugello, Borgo San Lorenzo e gli altri paesi della vallata erano già sotto il pieno controllo delle forze partigiane, che, come avevano cercato di evitare le devastazioni dei tedeschi in ritirata, impedirono le rappresaglie indiscriminate contro i fascisti rimasti. Il forte seguito che il Partito Comunista, uno dei principali protagonisti della Resistenza nella zona, ha sempre riscosso tra la popolazione è testimoniato anche dai risultati delle elezioni amministrative.
Nel 1946 venne riconfermato il sindaco eletto dopo la Liberazione, Giuseppe Maggi, che venne sostituito nel 1950 da Giuseppe Graziani. Quest’ultimo ha presieduto l’amministrazione comunale fino al- 1973, quando è divenuto sindaco proprio un partigiano, Bruno Panchetti, sostituito nel 1980 da Luciano Baggiani, attualmente in carica.
- Elezioni amministrative (sistema maggioritario), turno del 6 ottobre 1946:
Blocco Democratico della Ricostruzione voti 5442 (70,4%); DC voti 2283 (29,6%) - Elezione per l’Assemblea Costituente. 2 giugno 1946:
DC voti 2571 (26,8%); PCI voti 4182 (43,6%); PRI voti 39 (0,4%); PSIUP voti 2083 (21, 7%); UDN voti 113 (1,2%); UQ voti 405 (4,2%); Altri voti 193 (2,0%) - Referendum Istituzionale, 2 giugno 1946:
Repubblica voti 7223 (76,6%); Monarchia voti 2212 (23,4%)
Firenze
Già nella fasi immediatamente successive alla liberazione di Roma, il 4 giugno 1944, il Comitato di Liberazione Nazionale fornì precise indicazioni sulla necessità di promuovere a Firenze un’azione militare e politica da parte del Comitato Toscano di Liberazione Nazionale (C.T.L.N.), concomitante all’arrivo in città delle prime avanguardie alleate. Niente del genere si era ancora mai verificato in Italia e si trattava di dimostrare agli Alleati e al nord ancora occupato il diritto del popolo italiano all’autogoverno e all’amministrazione civile della cosa pubblica, fondata sul confronto democratico delle idee e dei programmi. Nei due mesi che separarono la liberazione di Roma da quella di Firenze gli eserciti alleati trovarono a ridosso delle colline del Chianti una inaspettata resistenza da parte delle forze tedesche in ritirata.
A Firenze, mentre la popolazione viveva in uno stato di crescente tensione, le forze della Resistenza si stavano organizzando, anche se l’attività della polizia politica fascista, la famigerata banda Carità, e della Gestapo, creava seri problemi di interdizione alle azioni dei patrioti. Il 7 giugno fu scoperta dai nazifascisti la trasmittente clandestina Radio Cora e tutti gli operatori furono fucilati. Appena cinque giorni dopo però questo servizio, definito dagli Alleati “uno dei migliori servizi di informazioni militari con i quali siamo rimasti in contatto su tutti i fronti”, fu riattivato e rimase in funzione fino alla liberazione della città. In luglio il C.T.L.N. diramò l’ordine alle formazioni partigiane raccolte intorno a Firenze di convergere sulla città. Si trattava di effettivi per un totale di circa 3000 uomini. Il 29 luglio il comandante militare tedesco della piazza di Firenze ordinò lo sgombero da parte dei cittadini dei quartieri prospicienti l’Arno ed il 31 di quel mese, i genieri tedeschi iniziarono a minare i ponti sul fiume. Soltanto il Ponte Vecchio fu salvato al prezzo però della distruzione dei quartieri medievali di Por Santa Maria e di via Guicciardini, le cui rovine furono anche minate. Il 1° agosto gli Alleati varcarono il fiume Pesa e si attestarono sulle colline in vista della città. Il 3 agosto il comando tedesco dichiarò lo stato di emergenza a Firenze. Fu allora che i membri fiorentini del C.T.L.N. si riunirono in seduta permanente in attesa di dare l’ordine di insurrezione. Nella notte del 3 agosto i genieri tedeschi fecero brillare le cariche che avevano preparato, distruggendo tutti i ponti della città. All’alba del 4 agosto le prime avanguardie sudafricane dell’VIII Armata britannica arrivarono a Porta Romana e penetrarono nell’oltrarno insieme ai combattenti del C.T.L.N. Il giorno successivo fu lanciata una linea telefonica segreta attraverso il Corridoio Vasariano sul Ponte Vecchio: le forze di liberazione e le forze della Resistenza in attesa nella città occupata entrarono in contatto. Nei giorni che seguirono, fino al 10 agosto, gli Alleati e i partigiani combatterono i nazisti dalla riva sinistra dell’Arno con una serie di duelli tra tiratori scelti, mentre i mortai tedeschi, appostati a Fiesole e sul Monte Morello, battevano l’Oltrarno. Nella notte tra il 10 e l’11 agosto le truppe della Wehrmacht si ritirarono dai centro storico per attestarsi sulla linea dei viali di circonvallazione. Alle 7 del mattino dell’11 agosto il C.T.L.N. diramò l’ordine di insurrezione; la Martinella di Palazzo Vecchio e la campana del Bargello con i loro rintocchi dettero il segnale; i combattimenti contro i tedeschi iniziarono immediatamente, mentre in Palazzo Medici Riccardi si riuniva il governo provvisorio della città che assumeva tutti i poteri civili e militari. Esso nominò il sindaco, Gaetano Pieraccini, e il consiglio comunale, il presidente della Provincia, Mario Augusto Martini, ed il consiglio provinciale; e, mentre sulla linea della Fortezza da Basso e dei viali si combatteva, si adoperò per garantire ai cittadini della Firenze già liberata i servizi essenziali. Gli scontri si protrassero fino al 20 agosto, quando i tedeschi abbandonarono anche la zona nord di Firenze. Gli alti ufficiali alleati che furono accolti dal sindaco Pieraccini e dai membri del C.T.L.N. scrissero nei loro rapporti ufficiali che l’aver trovato sulla via della loro avanzata una città che si era liberata da sola ed era già in grado di governarsi era “un fatto nuovo mai riscontrato durante tutta la campagna d’Italia. La battaglia di Firenze era finita e vinta.
- Elezioni amministrative (sistema proporzionale), turno del 10 novembre 1946.
DC voti 45.263 (23,7%); PCI voti 64.222 (33, 7%); PSIUP voti 41.91 1 (22,0%); PD’AZ voti 2501 (1,3%); PRI voti 4241 (2,2%); PLI voti 6553 (3,40/u); UQ voti 26.005 (13, 7%) - Elezione per l’Assemblea Costituente, 2 giugno 1946.
DC voti 66.029 (28,2%); PCI voti 60.649 (25,9%); PRI voti 6330 (2,7%); PSIUP voti 57.106 (24,4%); UDN voti 10.839 (4,6%); UQ voti 21.951 (9,4%); Altri voti 11.301 (4.8%) - Referendum Istituzionale, 2 giugno 1946.
Repubblica voti 148.763 (63,4%); Monarchia voti 85.753 (36,6%)
Firenzuola
Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, nel territorio del Comune di Firenzuola operarono formazioni partigiane composte da giovani antifascisti del Mugello e dell’area Imolese. La Il Brigata Carlo Rosselli di Giustizia e Libertà e la XXXVI Brigata Garibaldi compirono azioni di guerriglia e sabotaggio. La prima, nelle zone di Peglio, Firenzuola e Moscheta, mentre la seconda si distinse per numerosi interventi a Casetta di Tiara, Firenzuola, San Pellegrino, Rapezzo, Tirli, Coniale, Bordignano e Piancaldoli.
La Linea Gotica, costituita da valide ed efficaci difese naturali, oltre che artificiali (fortificazioni, casematte, valli anticarro e zone minate), rappresentò per gli americani (V Annata guidata dal gen. Clark) e per gli inglesi (VIII Armata guidata dal gen. Leese), un ostacolo difficilmente superabile.
Scontri si ebbero in tutto il territorio comunale, che fu teatro di numerosi e gravi fatti di guerra fra partigiani e tedeschi. Firenzuola, geograficamente situata al centro di un’amena valle, sul fiume Santerno, fu ritenuta strategicamente vitale dalle forze alleate ai fini della loro avanzata; inoltre, sembra che gli Alleati avessero avuto notizia di carri armati nemici e contingenti di truppe nascosti sotto i portici della cittadina. Pertanto, il 12 settembre, i bombardieri B29 compirono una pesante incursione sul capoluogo; l’opera distruttrice fu poi conclusa da un violento cannoneggiamento. Il grazioso paese venne quasi interamente cancellato; i documenti della prefettura di Firenze indicarono Firenzuola come “il paese più sinistrato della provincia, a causa di eventi bellici”. Tuttavia non vi furono vittime, avendo i tedeschi provveduto ad evacuare la popolazione che, secondo un loro preciso piano, doveva portarsi a Medicina (Bologna).
Il 17 settembre (sic), dopo una cruenta battaglia che causò gravissime perdite da entrambe le parti, gli Alleati sfondarono al Passo del Giogo. Pochi giorni dopo, esattamente il 19, alle ore 16, le prime unità americane di fanteria misero piede in Firenzuola. Entrandovi i soldati si muovevano con circospezione tra edifici sventrati e minati; si distinguevano a stento le strade sotto le macerie che le ricoprivano. La disperata situazione del paese fu affrontata dagli amministratori con impegno ed alacrità.
Infatti, già il 24 febbraio 1945, assunse la funzione di commissario prefettizio Giuseppe Ceccherini. Vennero adottate deliberazioni urgenti per la soluzione dei problemi e delle situazioni più difficili, attingendo per le spese dai fondi messi a disposizione dal Governo Militare Alleato, il cui primo stanziamento fu di lire 590.000. Con deliberazione del 3 maggio, ad Alberto Ceccarelli fu affidato l’incarico di presiedere l’ufficio di propaganda per la ricostruzione.
Da parte del governo centrale, nel dicembre 1945, il Comune di Firenzuola fu incluso nell’elenco di quei Comuni che, danneggiati dalla guerra, erano obbligati a dotarsi dello strumento urbanistico per la ricostruzione. La gravità della situazione e l’enormità dei problemi, impose agli amministratori che si stabilissero alcune priorità.
Il problema della casa venne “risolto” mediante predisposizione di baracche di legno e di lamiera che caratterizzarono a lungo l’aspetto del paese.
Il 23 gennaio 1946 il dott. Bernardo Galeotti venne nominato commissario prefettizio; i suoi primi atti furono estremamente importanti per la ricostruzione del Comune: egli affidò al Consorzio di Bonifica del Bacino Alto Santerno l’incarico di progettare ed eseguire la ricostruzione delle opere pubbliche non aventi carattere edilizio; successivamente incaricò per la compilazione dei progetti di ricostruzione dell’abitato di Firenzuola, gli architetti Athos Albertoni e Primo Saccardi; infine deliberò l’acquisto dei ruderi del castello denominato La Rocca, per la somma di lire 250.000.
Il 17 aprile 1946 fu effettuato lo scambio delle consegne fra il commissario Galeotti ed il sindaco Amerigo Acconci. Il piano di ricostruzione, in virtù anche degli interventi statali abbastanza dilazionati nel tempo, ebbe un’attuazione lenta e laboriosa, anche perché Firenzuola doveva essere ricostruita ab imis fundamentis.
- Elezioni amministrative (sistema maggioritario), turno del 7 aprile 1946:
Socialcomunisti voti 2734 (52,5%); DC voti 2475 (47,5%) - Elezione per l’assemblea Costituente, 2 giugno 1946:
DC voti 2586 (43, 7%); PCI voti 1327 (22,4%); PRI voti 58 (1,0%); PSIUP voti 1484 (25, 1 %); UDN voti 93 (1,6%); UQ voti 146 (2,5%); Altri voti 222 (3,8%) - Referendum Istituzionale, 2 giugno 1946:
Repubblica voti 3571 (66,3%); Monarchia voti 1815 (33, 7%).
Greve in Chianti
Il 25 luglio 1943 era domenica, una bella giornata d’estate. Il cinema A. Boito di Greve era gremitissimo, quando alcuni paesani, timidamente sorridenti, entrarono nella sala annunziando la caduta di Mussolini. La programmazione venne interrotta, si accesero le luci e la gente si riversò all’aperto a commentare la notizia: tutti avevano nell’animo la speranza di una rapida fine della guerra. Il giorno dopo alle finestre apparve il tricolore e comparvero anche sui muri delle scritte inneggianti al Re, alla libertà, a Badoglio nonché scritte di natura politica che furono fatte subito cancellare, su invito del prefetto, dal Comune. Ma non fu impedita la scalpellatura degli emblemi fascisti esistenti sul palazzo municipale, sulle scuole, sulla casa del fascio, sul monumento ai caduti. Furono tolti anche i fasci impressi nella ghisa delle fontane pubbliche.
“Caduto il regime – scrisse Don Corrado Raspimi, parroco di Cintola Alta, nella sua Cronaca dell’emergenza – la gente si dette a …a dispetto della carestia con crescendo fino al dì 8 settembre. La sera di quel giorno si sentì un gran vociare intorno alla collina. Mi affacciai – Signor pievano, suoni le campane, c’è la pace! Dopo mezz’ora la chiesa era gremita: mi si pregò di cantare il Te Deum-(…) poco dopo laggiù per la strada, ridevano, cantavano, gridavano e saltavano come matti. Alcuni giorni dopo, motociclette biciclette, cavalli montati, cavalli senza cavaliere, uomini in divisa, soldati senza fucili, chi con uno, chi anche con due, scorrazzavano da tutte le parti. Era il capitombolo da tutti previsto e il crollo di tutte le bugie dette dal 24 maggio del 1915 ad oggi”.
Intanto sui monti intorno a Greve si andavano formando gruppi di partigiani. Particolarmente numeroso era quello stabilitosi in alcuni rifugi sotto Montemoggino sul massiccio del Monte Scalari. Particolarmente dura per la comunità grevigiana fu l’estate del 1944 per il passaggio del fronte sul territorio. Da parte delle truppe germaniche si ebbero tre rappresaglie: a Pian d’Albero; alla fattoria di Querceto a Dudda; alla Villa Buonasera alla Panca. Nella prima vi furono 4 partigiani caduti in combattimento e 18 impiccati; nella seconda 7 fucilati e nella terza 5.
Per quest’ultima rappresaglia, solo dopo la liberazione del Comune i familiari seppero dell’accaduto e piansero i loro cari: Corinto Burgassi, Fedele e Ferdinando Vettori, Natale Picaneti e Livio Contri. A questi vanno aggiunti altri 12 caduti passati per le armi fra il 24 ed il 28 luglio. Nella mattinata del 24 luglio le prime pattuglie alleate entrarono in Greve. Due giorni dopo si insediò, nei locali della cooperativa Italia Nuova tra gli operai di Greve, il Comitato di Liberazione Nazionale (C.L.N.) composto da Carlo Baldini, Emilio Ciucchi,. Forese Donati, Tertulliano Favalli, Gino Mori e Giovanni Mugnaini. Ripresero prontamente servizio tutti i dipendenti comunali; vennero riaperte le banche, gli uffici postali, l’esattoria e tesoreria comunale, il consorzio agrario e molti negozi. La popolazione, precedentemente sfollata, rientrò in massa nel paese, anche perché il giorno prima le campane della chiesa avevano suonato a distesa per circa mezz’ora, con intervalli di cinque minuti. Le quattro campane furono suonate soltanto dal proposto Don Alessandro Ferretti e da Carlo Baldini, poiché nel paese erano rimaste pochissime persone e per di più quasi tutte invalide. Al suono delle campane di Greve risposero quelle delle chiese delle parrocchie che erano state liberate: i tedeschi udirono questo suono di liberazione. Su invito pressante del capitano delle Guardie Scozzesi R.W. Burkley, governatore militare della zona, il 27 mattina si riunì il C.L.N. per designare il sindaco. L’assemblea decise di designare il dott.cav. Italo Stecchi, farmacista del paese e già sindaco del Comune varie volte prima del fascismo. Il nominativo venne presentato, per delega, al governatore da Gino Mori e Carlo Baldini. Ebbe così inizio la nuova vita democratica nel Comune: il fronte passava ancora da Testa Lepre, Testi, Spedaluzzo, Monte Scalari, ossia soltanto la metà circa del territorio comunale era stato liberato; lo stesso capoluogo era ancora soggetto a cannoneggiamenti che durarono fino al 29 dello stesso mese con diurna cadenza.
- Elezioni amministrative (sistema maggioritario), turno del 17 marzo 1946:
Blocco Democratico della Ricostruzione (Socialcomunisti e Azionisti) voti 5544 (71/9%); OC voti 1939 (25,2%); PLI voli 220 (2,9%) - Elezione per l’Assemblea Costituente, 2 giugno 1946:
DC voti 1865 (23,0%); PCI voti 2688 (33,2%); PRI voti 37(0, 5%); PSIUP voti 2786(34,4%): UDN voti 210 (2,6%); UQ voti 298 (3,7%); Altri voti 216 (2,7%) - Referendum Istituzionale, 2 giugno 1946:
Repubblica voti 5821 (74,2%); Monarchia voti 2026 (25,8%)
Palazzuolo sul Senio
Anche i palazzuolesi, come quasi tutti gli Italiani, festeggiarono l’8 settembre 1943, con grande calore, illudendosi che la guerra fosse finita; purtroppo non era così. Nei mesi invernali del 1943-’44, sui monti intorno al capoluogo, si organizzarono i primi nuclei partigiani, in particolare sul Monte Faggiola. Il 29 maggio 1944, un lunedì mattina alle 4, il paese si trovò circondato dalle truppe tedesche che controllarono tutte le case una per una, frugando nei luoghi più nascosti. Circa 30 giovani palazzuolesi vennero arrestati ed inviati nei campi di concentramento tedesco; alcuni purtroppo non tornarono più. Inoltre furono bruciati le stalle e i fienili di tre poderi, Calcinelli, Nevale e Valdoniche, che erano di proprietà del gen. Raul Chiariotti, noto antifascista, e venne sequestrato anche tutto il bestiame. Circa 30 giovani palazzuolesi furono sequestrati ed inviati nei campi di concentramento in Germania; alcuni purtroppo non sono più tornati. Il 13 giugno, alle ore 17, una Compagnia di partigiani della XXXVI Brigata, al comando di Lorenzini, occupò il paese. Vennero distrutti gli uffici leva del Comune e furono distribuiti alla popolazione circa 200 quintali di farina di grano, conservati nei magazzini dell’ammasso. Non ci furono scontri armati, non successe niente di grave. A sera i patrioti si ritirarono dal paese, tornando sul Monte Faggiola. L’occupazione da parte dei partigiani comandati da Guerrini venne ripetuta il 22 giugno, anche questa volta senza danno per alcuno.
La XXXVI Brigata Bianconcini che operò sul territorio comunale si era formata nei primi mesi del 1944, localizzando i suoi comandi prima sul Monte:Faggiola, poi sul Monte Carzolano in località Ca’ di Vestro ed infine nella valle della Sintria, in località Presiola. La sera del 25 settembre le truppe tedesche prima di lasciare il paese fecero saltare il ponte sul fiume Senio oltreché la polveriera che si trovava nei locali della pesa pubblica. Le due esplosioni arrecarono notevoli danni a numerosi edifici fra i quali la chiesa parrocchiale che si trovava nei pressi della polveriera. Inoltre vennero distrutti il ponte di Mantigno sulla strada dell’Alpe, il ponte di Camaggiore sulla strada della Faggiola, il ponte di Salecchio sulla strada per Mar-radi, il muraglione del Capannone ed il ponte del Castagno sulla strada Casolana Riolese. La distruzione di queste strutture lasciò il paese completamente isolato. I ponti furono ricostruiti provvisoriamente dalle truppe di liberazione nei giorni successivi tramite delle strutture in ferro. Più ad est, nel settore del XIII Corpo, con l’occupazione del Monte Carzolano, il gen. Redmayer aveva la possibilità di dilagare nella valle del Senio purché fosse ripristinata l’antica strada, in parte ridotta a sentiero, che da Passo dei Ronchi scendeva vertiginosamente a Palazzuolo. La pista denominata “bulloch route”, dalle foto aeree sembrava in buone condizioni ma in realtà era altamente disastrata.
La XXIII Compagnia Genieri lavorò quattro giorni e quattro notti per completare il tratto di sette chilometri fino a Palazzuolo, ma quando fu terminato viaggiarvi era, secondo il parere di un autista britannico “un’avventura da far rizzare i capelli”. La 66- Brigata, tuttavia, scese dal Carzolano e si inoltrò tra le montagne che circondano Palazzuolo. Il paese fu liberato il 25 settembre 1944 dal secondo Battaglione Middlesex al comando del ten. col. Chimay. Il Battaglione faceva parte del XIII Corpo di Armata britannico al comando del gen. Redmayer. Palazzuolo sul Senio subì danni rilevanti: i civili morti per cause di guerra furono 28, di cui 13 fucilati dalle truppe tedesche il 17 luglio 1944 nel tragico eccidio di Crespino. Il paese rimase base di rifornimento per le truppe alleate. Infatti, fino al 22 aprile 1945, il fronte rimase bloccato lungo il corso del fiume Senio sul lato est e lungo la vena del gesso sul lato nord, a soli 22 chilometri dal capoluogo. Da rilevare come negli ultimi mesi del conflitto, entrarono in linea nella zona di Palazzuolo i battaglioni Folgore e San Marco, appartenenti alla Divisione Friuli del ricostruito Esercito italiano. Il primo sindaco nominato dopo la Liberazione dal Governo Militare Alleato, fu Odoardo Strigelli, mentre il primo cittadino democraticamente eletto in seguito alle elezioni del 1946, fu Francesco Pagliazzi.
- Elezioni amministrative (sistema maggioritario) turno del 6 ottobre 1946:
Socialcomunisti voti 836 (54.6%); OC voli 695(45.4%) - Elezione per l’Assemblea Costituente. 2 giugno 1946:
DC voti 688 (39,7%); PCI voti 499 (28,8%); PRI voti 78 (4,5%); PSIUP voti 376 (21, 796); UDN voti 16 (0.9%); UQ voti 30 (1. 7%); Altri voti 48 (2.8%) - Referendum istituzionale, 2 giugno 1946:
Repubblica voti 1255 (75.8%); Monarchia voti 400 (24,2%)
Pelago
Fin dalla primavera del ’43 nel territorio comunale circolavano gli sfiniti reduci dell’AMIR che cercavano di filtrare fra le maglie della sorveglianza nazifascista. Le “presenze irregolari” sul territorio di Pelago, crocevia naturale delle vie che uniscono Firenze al Mugello ed alla Romagna, al Casentino ed al Valdarno, divennero sempre più numerose dopo il 25 luglio e, soprattutto, dopo l’8 settembre. Questo viavai di sbandati, unito al fatto che buona parte del territorio era prospiciente alla trincea naturale sulla quale i tedeschi allestirono la linea di difesa denominata Arno, fece sì che tutta la zona venisse notevolmente militarizzata dalla Wehrmacht.
La massiccia ed opprimente presenza tedesca ebbe come conseguenza quella d’ingrossare notevolmente le formazioni partigiane che già operavano nel circondario (Monte Giovi, Madonna ai Fossi, Monte Secchieta, Pratomagno). Dopo l’offensiva contro i patrioti della primavera del ’44, che si concluse con l’attacco al Monte Secchieta nella notte di Pasqua, la Resistenza locale si riorganizzò in nuclei più piccoli aventi disloca-zioni diverse.
Sul territorio di Pelago fu particolarmente attiva la formazione Tricolore Perseo, comandata da Braccio Forte, alias Giuseppe Politi, un maestro elementare originario della frazione di Ferrano che aveva servito da ufficiale nell’esercito e che era entrato ben presto nella Resistenza con svariati incarichi; egli riuscì a riunire in un’unità combattente molti degli uomini validi del luogo, alcuni polacchi fuoriusciti dalla Wehrmacht, altri militari italiani e gli scampati della precedente formazione badogliana del Secchieta. Nella frazione di Diacceto si ricorda ancora la figura del pievano Don Luigi Bucci, che si offrì ai tedeschi in cambio della vita di dieci parrocchiani, riuscendo così a farli desistere dal loro proposito che era quello di vendicare con una rappresaglia l’uccisione, ad opera di ignoti, di una loro sentinella.
Nella loro ritirata le truppe tedesche si preoccuparono di tenere aperta la via per il nord, che attraversava il Comune, devastando sistematicamente tutto il territorio che si lasciavano alle spalle. Neppure monumenti storici come il castello di Nipozzano o il ponte medievale di Pelago furono risparmiati. Purtroppo anche 18 civili inermi furono vittime di questa foga distruttrice; sorpresi nella fattoria di Poderenuovo, presso la Consuma, dove si erano rifugiati, furono massacrati senza pietà. Era la notte del 25 luglio. I primi “liberatori” apparvero il 24 agosto provenienti dal confine con Reggello e dall’Arno: erano gli inglesi del 13° Corpo. Alcuni partigiani, fra i più giovani, accolti nel I Nucleo dell’VIII Armata britannica, continuarono a combattere i nazifascisti. Pochi giorni dopo la Liberazione, su indicazione della popolazione, gli Alleati nominarono sindaco Aldo Monciatti; contemporaneamente iniziò ufficialmente l’attività del Comitato di Liberazione Nazionale. Giuseppe Politi assunse l’incarico di segretario comunale, attività che svolse anche nelle successive legislature. Nell’ottobre 1946, in seguito alle prime elezioni amministrative, fu eletto alla carica di primo cittadino Dario Peroni, capolista delle sinistre. Egli cominciò la ricostruzione a partire dall’edilizia scolastica e da quella sanitaria. Sul territorio di Pelago sorsero un poliambulatorio specialistico, l’ospedale, la scuola media. La ripresa dell’economia fu dapprima basata, necessariamente, sull’agricoltura, la quale, comunque, non verrà mai del tutto soppiantata né dall’industria né dall’attività turistica che col tempo hanno avuto sempre maggiore importanza.
La disponibilità ad accogliere ed a conoscere il nuovo ed il diverso, che è tipica degli abitanti di Pelago, forse perché da sempre sono abituati a rapportarsi con “viandanti” di vario tipo, è da pochi anni sfociata in una vera e propria celebrazione dei valori di cui può essere portatore chi viene da altri luoghi e da altre situazioni, chi vive al di fuori degli schemi e dei canoni più usuali: l’On the road festival. Un’occasione di festa, questa, che ha sempre dimostrato come lo spirito di solidarietà e la cultura dell’accoglienza e possano far superare anche ostacoli apparentemente insormontabili quali la diversità di lingua, di tradizioni, di religione, di classe, di razza. Un’esperienza ricca di valori che sta inserendo Pelago in una fase evolutiva estremamente positiva.
- Elezioni amministrative (sistema maggioritario), turno del 13 ottobre 1946:
Socialcomunisti voti 2175 (72,6%); DC voti 819 (27,4%). - Elezione per l’Assemblea Costituente, 2 giugno 1946:
DC voti 1092 (26, 5%); PCI voti 1615 (39,2%); PRI voti 23 (0,6%); PSIUP voti 1158 (28,1%); UDN voti 51 (1,2%); UQ ‘voti 80 (1,9%); Altri voti 97(2,4%). - Referendum Istituzionale. 2 giugno 1946:
Repubblica voti 3065 (76,8%); Monarchia voti 925 (23,2%).
Pontassieve
Tra il 25 e il 28 luglio del 1943 Pontassieve accolse la caduta del fascismo con manifestazioni di tripudio. Si formò ben presto un Comitato di Liberazione Nazionale (C.L.N.) locale, in cui furono, rappresentati cattolici, comunisti e socialisti. Dopo l8 settembre un treno abbandonato alla stazione di Pontassieve dalle truppe allo sbando venne saccheggiato: le armi rinvenute passarono ai giovani nascostisi in montagna per. sfuggire ai rastrellamenti dei tedeschi, che riuscirono comunque a deportare in Germania 116 uomini, 6 dei quali morirono nei campi di prigionia. Prigionieri di guerra, in prevalenza inglesi e americani, ma anche ufficiali iugoslavi e soldati brasiliani, neozelandesi, sudafricani e russi (circa 200 uomini), fuggiti da un campo di lavoro sul Monte Giovi, a nord del capoluogo, vennero in gran parte ospitati e assistiti dalla popolazione della frazione di Acone.
Il Monte Giovi divenne quindi il centro delle attività partigiane nella zona: vi agirono la formazione Gruppo Acone, le divisioni Potente, Garibaldi, Jugoslavia, la Brigata Caiani, in totale una sessantina di uomini che poterono operare grazie al sostegno delle famiglie contadine della zona; 19 di loro morirono negli scontri coi nazifascisti. Nella primavera del 1944 i partigiani, in parte con la complicità degli stessi contadini, operarono oltre 50 requisizioni di generi alimentari per rifornire i combattenti impegnati nella liberazione di Firenze. L’8 giugno, dopo un’incursione partigiana contro il presidio della Guardia Nazionale Repubblicana di Pontassieve, rimase ucciso un militare tedesco nella campagna della Pievecchia, poco a monte di Pontassieve. Per rappresaglia gli occupanti effettuarono un rastrellamento e fucilarono, sul posto, 14 uomini inermi. A partire dalla notte del 9 novembre ’43 e fino ai primi giorni del luglio ’44, Pontassieve, importante nodo stradale e ferroviario, subì numerosi bombardamenti aerei da parte degli Alleati, durante i quali vennero sganciate quasi 1000 tonnellate di esplosivi e perirono 42 civili. Gli abitanti sfollarono totalmente nelle campagne; nel passaggio del fron¬te morirono altri 49 civili e 97 rimasero feriti. I bombardamenti alleati e la ritirata tedesca provoca¬rono gravissimi danni alle strutture produttive e l’interruzione delle principali vie di comunicazione. Il 21 agosto 1944 Pontassieve venne occupata dagli alleati e il 27 settembre il C.L.N. locale nominò la nuova Giunta comunale, presieduta dal sindaco socialista Alfonso Benvenuti. Nel maggio 1945 si insediò una nuova Giunta presieduta dal socialista Aristide Bruscantini che, dopo un anno, lasciò di nuovo il posto a Benvenuti. Il C.L.N, si sciolse dopo le elezioni politiche del 2 giugno ’46, che videro il netto prevalere dei comunisti (50,4% dei voti) su socialisti (23,5%) e democristiani (21,4%). Nello stesso anno tornò ad organizzarsi il movimento contadino locale che incentrò la propria lotta sulla riforma del patto mezzadrile. Nel 1946 iniziò con Mario Mannini, una serie ininterrotta di sindaci d’area comunista: Enzo Boscherini (dal ’51); Pietro Selvi (dal ’70); Giuseppe Maturi (dall’80); Mauro Perini (dal ’92).
Completata la ricostruzione nel corso degli anni Cinquanta, il decennio seguente ha visto la crisi dell’agricoltura mezzadrile e il massiccio inurbamento della popolazione contadina. Mentre i centri abitati del fondo valle, con il capoluogo in testa, crebbero in maniera affrettata, gli insediamenti produttivi d’anteguerra subirono un lento degrado e Pontassieve assunse sempre più il ruolo di residenza operaia e centro commerciale in stretta relazione con Firenze. Negli ultimi anni le amministrazioni locali si sono impegnate nella realizzazione delle strutture di servizio (scuole, attrezzature sportive ecc.) e nella ricerca di un nuovo equilibrio tra sviluppo economico, insediamenti urbani e qualità della vita. Al 1963 risale il gemellaggio con la città di Znojmo, nella Moravia (Repubblica Ceca, ex Cecoslovacchia), e nel 1968 Pontassieve darà ospitalità ad alcuni degli esuli fuggiti all’invasione sovietica. Al 1987 data invece il gemellaggio con Tifanti, un villaggio della Repubblica Saharawi, ed il sostegno alla guerra di liberazione contro il Marocco. Nel quadro dell’impegno pacifista e terzomondista, Pontassieve aderisce al Coordinamento Nazionale degli Enti Locali per la Pace.
- Elezioni amministrative (sistema maggioritario), turno del 13 ottobre 1946:
Blocco Democratico della Ricostruzione (Socialcomunisti) voti 5642 (79,2%); DC voti 1434 (20,8%). - Elezione per l’Assemblea Costituente, 2 giugno 1946:
DC voti 1825 (21,4%); PCI voti 4293 (50,5%); PRI voti 39 (0,5%); PSIUP voti 2002 (23,5%); UDN voti 87 (1,0%); UQ voti 99 (l,2%); Altri voti 164 (1,9%). - Referendum istituzionale, 2 giugno 1946:
Repubblica voti 7113 (85,5%); Monarchia voti 1209 (14,5%)
San Casciano in Val di Pesa
La caduta del fascismo, a San Casciano Val di Pesa, giunse per tutti inaspettata. Il piccolo gruppo di antifascisti avvertiva che stavano maturando grandi avvenimenti, ma nessuno percepiva con precisione cosa stesse accadendo. Quando si seppe la notizia i fascisti scesero in piazza minacciando e spadroneggiando con le pistole alla mano; gli antifascisti erano pochi e il tentativo di dare vita ad una manifestazione fallì. Il 27 mattina, finalmente, si formò un grande corteo che sfilò per le vie cittadine inneggiando all’Italia e alla pace. Al corteo parteciparono anche alcuni fascisti; non mancarono moti di sincera commozione da parte di vecchi patrioti che abbracciarono i soldati presenti mentre si distruggevano i simboli del fascismo. Furono giorni ricchi di emozione; mancava ancora, però, una guida politica, i partiti antifascisti non erano in grado di assumere la direzione del moto popolare, la situazione non era chiara, anzi era preoccupante e minacciosa. Nel palazzo comunale, al posto dell’amministrazione fascista, si insediò un commissario prefettizio, il gen. Achille Dell’Era, badogliano, il quale, con molte cautele e timidezze, ricercò la collaborazione di antifascisti come Primo Calamandrei, democristiano (già sindaco nel 1922, quando i fascisti si impadronirono violentemente del Comune), Corrado Ghiribelli, socialista e Dante Tacci, comunista. La notizia della firma dell’armistizio rese la situazione ancora più complicata: da un lato gruppi di giovani organizzarono gli aiuti per i militari in fuga, dall’altro i fascisti costituirono il fascio repubblichino. La lotta si estese a macchia d’olio; tra Pisignano, Cerbaia e Montagnana si formò la Brigata partigiana, che prese il nome di III Rosselli, nella” quale si arruolarono tanti mezzadri. Insieme, operai, contadini, artigiani, aiutarono la Resistenza, con rifornimenti di viveri, nascondendo nelle proprie case i renitenti alla chiamata del Governo di Salò, proteggendo e nascondendo ebrei.
Ci furono anche scontri tra partigiani e nazifascisti, con morti e feriti, e non mancarono barbare rappresaglie. A Fabbrica, presso la locale fattoria, vennero fucilati Carlo Lotti, Giuliano Lotti, Brunetto Bartalesi, Giuseppe Vermigli e Carlo Viviani (che sopravvisse alla fucilazione). Stessa sorte toccò, in località Le Corti, a Guido e Pasquale Taddei (padre e figlio), a Donato Vermigli e a fra’ Ruffino da Castel del Piano (al secolo Angelo Sani), preziosa e audace staffetta partigiana. Inoltre persero la vita Armando Aglietti, Giulio Mazzei, Camillo Sieni, Gino Bini, Angelo Bucciardini e Guido Lapini. Molti furono i parroci che parteciparono attivamente alla Resistenza: basti ricordare Don Ivo Biondi, Don Nello Anichini, Don Tebaldo Pellizzari, Don Lido Cappelli, Don Nello Poggi. Nel capoluogo si era insediato un comando della Wehrmacht; il commissario prefettizio Dell’Era venne sostituito dal fascista Romboli. In quel periodo avvenne l’arresto di un nucleo di ebrei che si erano rifugiati a San Casciano; furono deportati e nessuno di loro ritornò. La popolazione fu difesa dai Comitati di Liberazione Nazionale (C.L.N.) del capoluogo e di Mercatale, anche attraverso la distribuzione di generi alimentari. Gli ultimi giorni prima della liberazione, che avvenne il 27 luglio 1944, il capoluogo fu in parte distrutto dalle mine tedesche e in parte dai bombardamenti degli Alleati. Il primo sindaco, insediato dal Governo Militare Alleato con il consenso del C.L.N., fu il col. Angelo Chiesa, che aveva abbandonato l’esercito l’8 settembre. Quando il colonnello riprese il servizio militare lo sostituì Aldo Giacometti. I compiti che affrontarono questi primi sindaci furono enormi: il 60-70% della popolazione del capoluogo era senza casa, oltre il 60% delle abitazioni era andato distrutto. In seguito alle elezioni amministrative della primavera 1946, Aldo Giacometti, comunista, fu confermato sindaco. Nel 1955, gli subentrò Remo Ciapetti; dal 1970 al 1980 fu sindaco Giancarlo Viccaro e dal 1985 ricopre questo incarico Fabrizio Bandinelli. Nel 1944, anno della Liberazione, il Comune contava circa 12.000 abitanti, oggi supera i 16.000; la crescita è avvenuta nel capoluogo e nei piccoli centri, mentre le campagne si sono spopolate. Solo da poco esse sono tornate a rivivere, grazie soprattutto all’arrivo di stranieri che vi si sono stabiliti, tra nostalgia della proprietà terriera e agriturismo.
- Elezioni amministrative (sistema maggioritario), turno del 7 aprile 1946:
Socialcomunisti voti 5827 (68, 7%); DC voti 2659 (31,3%) - Elezione per l’Assemblea Costituente, 2 giugno 1946:
DC voti 2390 (2 7, 6%); PCI voti 3621 (41,9%); PRI voti 36 (0,4%); PSIUP voti 1875 (21, 7%); UDN voti 168 (1,9%); UQ voti 290 (3,4%); Altri voti 270 (3,1%). - Referendum Istituzionale, 2 giugno 1946:
Repubblica voti 6249 (74,3%); Monarchia voti 2156 (25, 7%)
San Piero a Sieve
“Io sono vivo – scriveva alla curia fiorentina Don Antonio Boschi, pievano di San Piero a Sieve il 16 settembre 1944 – nonostante giorni e notti terribili. Nella notte dall’8 al 9 settembre tante cannonate furono tirate sul paese; la chiesa e la canonica non subirono danni. Però i tedeschi, facendo saltare il ponte sul torrente (unito alla chiesa) causarono gravissimi danni sia alla chiesa che alla canonica. Io da venti giorni dormo in cantina dove costudisco anche l’immagine della Madonna. Potei avere contatto con le autorità tedesche ed impedii che nel mio Comune si facessero rastrellamenti e deportazioni di uomini”.
Già all’inizio dell’estate di quell’anno, con l’avvicinarsi del fronte, la popolazione aveva abbandonato i centri abitati riversandosi nelle campagne per mettersi al riparo dalle angherie delle truppe di occupazione e dagli attacchi aerei degli Alleati che, per ostacolare la ritirata tedesca, bombardavano quotidianamente le vie di comunicazione.
Durante quel periodo numerose furono le vittime civili. Le elenca, invitando “tutti e specialmente i giovani a ricordarle e a serbare’ per loro la gratitudine che loro deve la nuova Italia”, un numero unico intitolato “Liberazione di San Piero a Sieve”, datato 16 settembre 1945: Bruna Orsini, Emilia Poggi, Francesco Giani, Emilio Luchi, Vasco Chirsi, Bruna e Marisa Chiesi e Anna Maria Margheri, deceduti in seguito a bombardamento; Emilio Villani, Angiolo Cavaciocchi, Giovanna Taiuti, Rosa Baldini, Giocondo Nutini, Luigi Degl’Innocenti, Quinto Tagliaferri e Giovanni Berti, uccisi dallo scoppio di mine e granate. La pubblicazione sottolineava inoltre che “la festa della Liberazione che doveva celebrarsi il giorno 10 settembre è stata rinviata al l6 in» attesa che una certa marchesa abbia potuto raccogliere l’uva dei suoi campi. A parte il fatto della poca fiducia che ci offende, domandiamo alla nobildonna perché non cercò di rinviare anche l’occupazione tedesca, visto che avvenne nel periodo della vendemmia”. Frase che al di là del fatto specifico, costituisce una significativa testimonianza della voglia di cambiamento che la guerra e le sofferenze patite avevano ingenerato nella popolazione.
In effetti San Piero a Sieve fu liberato il 10 settembre 1944 dalle truppe americane, alle quali aveva fornito le necessarie informazioni logistiche per l’avanzata un gruppo di partigiani della Divisione Potente. Lo stesso numero ricorda la presenza nella zona di San Piero della 303a Squadra del Partito d’Azione e del suo organizzatore e animatore, Aldo Fedi; catturato il 10 giugno 1944 dai tedeschi, dopo esser stato interrogato dalle SS, fu avviato al campo di concentramento di Fossoli e da qui deportato a Mauthausen, da cui non fece ritorno. Per qualche mese, prima di essere consegnato ai parenti, il cimitero di San Piero accolse il corpo di un giovane partigiano, Domenico Trefilò; una menzione particolare merita anche il sampierino Silvano Stefanacci che continuò la lotta contro i nazifascisti e morì combattendo per la liberazione di Milano. La guerra ed il passaggio del fronte provocarono nel Comune, come in tutto il Mugello, gravissime distruzioni: linee ferroviarie, ponti, acquedotti, silos granari, elettrodotti, cabine elettriche e opere pubbliche furono duramente colpite. Gravi danni patì anche l’agricoltura.
Questa era la situazione all’indomani della liberazione; il Comitato di Liberazione Nazionale pose mano alla ricostruzione, nominando la Giunta municipale così composta: ing. Vieri Bencini, sindaco; Piero Bini, Raffaello Bini, Luigi Romei, Luigi Lorenzi, dott. Neri Corsini, Don Antonio Boschi, assessori. La costituzione della Giunta venne poi ratificata dal cap. Twilly, rappresentante del Governo Militare Alleato. Nel dicembre 1944 venne nominato sindaco Fernando Frandi, sostituito, nel novembre 1945 da Gino Parigi.
Nel marzo 1946 si svolsero anche a San Piero le prime elezioni amministrative, in seguito alle quali fu eletto, a capo di una giunta Socialcomunista, Gino Dreoni. Tale maggioranza non è più cambiata ed ha espresso nel corso di questi anni varie Giunte municipali guidate da Franco Ottanelli, Luigi Baggiani, Enrico Ricci e Mauro Dugherì.
- Elezioni amministrative (sistema maggìoritario), turno del 24 marzo 1946:
Socialcomunisti voti 1431 (78,5%); DC voti 391 (21,5%). - Elezione per l’Assemblea Costituente, 2 giugno 1946:
DC voti 309 (15,0%): PCI voti 688 (33,5%); PRI voli 38 (1,8%,); PSIUP voti 818 (39,8%,); UDN voti 25 (1,2%); UQ voti 94 (4,6%); Altri voti 83 (4,0%). - Referendum Istituzionale, 2 giugno 1946:
Repubblica voli 1598 (81, 7%); Monarchia voti 357 (18,3%).
Scarperia
Scarperia non ha avuto un posto preminente nell’ambito del movimento di Resistenza mugellano. Durante il Ventennio nel Comune mancò una solida presenza antifascista e anche nel periodo della lotta armata non avvennero importanti iniziative autonome. Nei mesi di aprile e maggio del 1944 alcuni antifascisti locali, in collegamento con il Comitato di Liberazione Nazionale (C.L.N.) di Borgo San Lorenzo, cominciarono ad organizzarsi per creare un gruppo partigiano. È del 6 giugno l’azione partigiana più rilevante; quel giorno venne ucciso ‘sul viale Dante, ai limiti del centro storico di Scarperia, l’ing. Emilio Paoletti responsabile di zona per la Todt. Nel corso dell’azione perse la vita anche un ufficiale delle SS e rimase gravemente ferito il partigiano Romolo Marelli. Questi riuscì a trascinarsi fino alla casa colonica Serenai, dove fu soccorso e trasportato all’ospedale di Luco di Mugello; morì tre giorni dopo. A pochi chilometri dal paese vi era la Linea Gotica.
Nella zona di Panna, confusa e mimetizzata fra altre fortificazioni, esisteva anche una base di lancio dei missili V2; questa venne individuata dagli informatori alleati e distrutta da un bombardamento. Dopo alterne vicende, dovute anche a contrasti all’interno delle forze antifasciste, nell’agosto 1944 venne definito l’organico del C.L.N. di Scarperia; esso risultò formato da Pietro Biancalani, Andrea Pasinetti, Salvatore Cordiano; comandante militare fu nominato Mario Ignesti; la propaganda, l’amministrazione ed i collegamenti vennero affidati a Niccola Buffi. Ai primi di settembre del ’44 gli abitanti di Sant’Agata vennero fatti sloggiare, armi alla mano; dovevano trasferirsi a Bologna, ma di fatto molti si dispersero oltre i passi del Giogo e della Futa; altri si nascosero nei dintorni aspettando il momento buono per tornare alle loro case. Per fortuna venne concesso che nella vicina Fagna si istituisse l’ospedale civile per i malati del Comune.
L’abitato di Scarperia, come gli altri centri del Mugello, fu liberato l’11 settembre. Il fatto venne descritto in una relazione sull’attività del gruppo partigiano di Scarperia: “Il giorno 11 settembre 1944 divisi in due squadre [i partigiani] fiancheggiano la strada San Piero-Scarperia, catturano soldati tedeschi annidati.
Incontrate pattuglie americane che avanzano, i nostri servono da guida e viene occupato il paese, dopo aver fatto battere dalle artiglierie alleate le posizioni nemiche apprestate avanti del paese”. I patrioti ebbero un ruolo importante anche nella liberazione del resto del territorio comunale, guidando le truppe alleate verso le postazioni tedesche saldamente attestate sulla Linea Gotica e combattendo in prima linea a fianco del 338° Reggimento della V Armata americana. Questo venne impegnato dal 13 settembre in duri e sanguinosi scontri che durarono fino al 18, quando furono conquistate importanti posizioni strategiche del Monte Altuzzo, infrangendo la linea Gotica e aprendo il varco appenninico del passo del Giogo.
Da ricordare che l’offensiva costò la vita a 290 soldati alleati. Passata la guerra, si trassero le somme e ci si accorse che a Scarperia non si erano sperimentati e vissuti gli orrori che tanti altri paesi vicini avevano dovuto subire. Il paese, pur saccheggiato e depredato di ogni cosa, era in piedi e la vita riprese più agevolmente che altrove.
Dopo la liberazione il C.L.N. nominò sindaco il dott. Giovan Battista Diani, socialista. A lui successe il prof. Luigi Noferini (PCI), e successivamente Fausto Fiori della (DC); alle prime elezioni amministrative del 7 aprile 1946 il PSIUP e il PCI uniti ebbero la maggioranza ed espressero il sindaco nella persona di Francesco Pini, socialista. Scarperia, famosa per il suo tipico artigianato dei ferri taglienti, ha voluto stringere un patto di gemellaggio con la cittadina francese di Laguiole, anch’essa produttrice di coltelli di grande fama, iniziativa che ha portato il Comune direttamente a contatto e a confronto con la realtà europea.
- Elezioni amministrative (sistema maggioritario), turno del 7 aprile 1946:
Socialcomunisti voti 2237 (56, 7%); D C voti 1705 ( 43,3%) - Elezione per l’Assemblea Costituente, 2 giugno 1946:
DC voti 1485 (35,7%); PCI voti 912 (21,9%); PRI voti 24 (0,6%); PSIUP voti 1418 (34,1%); UDN voti 39 (0,9%); UQ voti 190 (4,6%); Altri voti 96 (2,3%) - Referendum Istituzionale, 2 giugno 1946:
Repubblica voti 2729 (69,1%); Monarchia voti 1222 (30,9%).
Vaglia
Dopo l’8 settembre 1943 e con l’apertura dei campi di concentramento dei prigionieri di guerra alleati, la zona di Monte Morello, al confine tra Vaglia e Sesto Fiorentino, divenne il ritrovo degli antifascisti e degli ex-internati, ai quali le popolazioni locali fornivano alloggio, cibo e cambio di abiti. Nel territorio di Vaglia le due famiglie Biancalani e Sarti, le cui abitazioni si trovavano a Morlione, in prossimità di Paterno, erano in contatto con un centro di aiuti: a circa 3 chilometri da Morlione, alle pendici del Monte Morello, era stato organizzato un accampamento formato da tende militari, in cui gli ex-prigionieri potevano trovare rifugio. Per scaldarsi, poiché accendere fuochi era rischioso, al mattino andavano a piccoli gruppi a casa del Sarti.
Il pranzo e la cena venivano portati al campo dai Biancalani e dai Sarti, a turno; mentre il guardia-caccia Gabriello Mannini li riforniva di carne fresca. Quando tutto era tranquillo, i rifugiati contraccambiavano eseguendo piccoli lavori. La situazione precipitò nella primavera del ’44 Il 4 aprile un gruppo di partigiani scendeva dalle pendici del Monte Morello fino alla stazione di Montorsoli, sulla Faentina; si era saputo che il treno 2328 portava 3 vetture di militi repubblichini e tedeschi. I partigiani occuparono la stazione e si appostarono: al sopraggiungere del treno seguì una violenta e disordinata sparatoria. I nazifascisti ripresero la stazione ed il treno riuscì a ripartire, fermandosi poi a Fontebuona, dove furono raccolti i morti e soccorsi i feriti.
Una settimana dopo, il 10 aprile, lunedì di Pasqua, i tedeschi rastrellarono il versante nord orientale del Monte Morello: a Cerreto Maggio entrarono nella chiesa e presero in ostaggio alcune persone compreso il parroco Don Mario Martinuzzi. Intanto a Cerreto un gruppo di soldati tedeschi uccideva davanti ai famigliari il guardia-caccia Gabriello Mannini e ne bruciava la casa. Un brano di una lettera di Don Martinuzzi all’arcivescovo di Firenze può aiutarci a comprendere la drammatica situazione in cui viveva tanta gente innocente: “(…) Per ora non si è avuto una pausa, un riposo, un respiro, ogni momento che passa è un boccone di veleno. Cerreto sembra una terra maledetta, tanta è la desolazione, il pianto e lo spavento in ogni famiglia, perché è purtroppo vero che, in proporzione, da nessuna parte, come in questa zona si sono avuti tante stragi e danni…”. La barbarie nazista sembrava non avere fine: a Morlione, furono uccisi Fortunato e Aurelio Sarti, Savino e Giovanni Biancalani e venne dato fuoco alle loro case. Il giorno successivo, i tedeschi uccisero Cesare Paoli, mentre il boscaiolo Silvio Rossi fu trovato morto in una capanna di Cercina. Né il paese di Paterno, né le altre case dei dintorni subirono violenze: la ferocia nazista fu rivolta solo verso coloro che avevano nascosto ed aiutato gli ex internati. All’approssimarsi del fronte i guastatori tedeschi minarono la ferrovia tra Fondi di Cercina e Fontebuona ed anche gran parte del capoluogo per sbarrare la strada agli Alleati.
Dal 7 giugno l’amministrazione di Vaglia cessò il suo regolare funzionamento; il transito militare e la sosta dei soldati, che si accamparono perfino nell’archivio comunale, resero sempre più difficile la vita del paese. Il 24 luglio la prefettura autorizzò la sospensione dell’attività del Comune. Vaglia venne liberata il 6 settembre; l’8 settembre il Comune riprese la propria attività con la nomina, da parte delle autorità militari, di Mario Ancillotti, quale sindaco provvisorio. Successivamente il 5 novembre 1944 divenne sindaco, per incarico del Governo Militare Alleato ed in attesa delle elezioni il dott. Giorgio Pozzolini. Il 10 marzo 1946 si tennero in Vaglia le prime elezioni del dopoguerra; risultò eletto primo cittadino il dott. Antonio Nardi.
All’inizio del 1947 la carica passò a Ferruccio Innocenti. Iniziò il lavoro di ricostruzione, anche con l’aiuto dei soldati americani, che intervennero con i mezzi di trasporto. Nel 1947 terminarono i lavori di rifacimento della Bolognese, tanto che potè transitare, con grande successo, la XIV Mille Miglia. Nella carica di sindaco si succedettero Ghino Giorgerini (1951-1965), Livio Campani (1965-1980) e Mario Lastrucci.
- Elezioni amministrative (sistema maggioritario), turno del 10 marzo 1946:
Blocco Democratico della Ricostruzione (Socialcomunisti) voti 1570 (80,1%); DC voti 389 (19,9%) - Elezione per l’Assemblea Costituente, 2 giugno 1946:
DC voti 402 (19,4%); PCI voti 868 (41,8%); PRI voti 24 (1,2%); PSIUP voti 621 (29,9%); UDN voti 33 (1,6%); UQ voti 72 (3,5%); Altri voti 56 (2, 7%) - Referendum Istituzionale, 2 giugno 1946:
Repubblica voti 1)42 (77,4%); Monarchia voti 450 (22,6%)
Vicchio
La notizia della caduta di Mussolini si diffuse a Vicchio già dalla sera del 25 luglio e fu accolta da esplosioni spontanee di gioia popolare. Gli operai pendolari di ritorno da Firenze, dettero vita ad un corteo improvvisato lungo il viale della stazione fino al centro abitato. Alcuni antifascisti issarono sul balcone del Comune la bandiera tricolore. Alla breve speranza di pace seguì il timore per l’occupazione tedesca. La popolazione si prodigò in uno straordinario moto di solidarietà verso i giovani soldati che avevano abbandonato le divise e gli ex prigionieri fuggiti dai campi di prigionia. Sin dall’armistizio, fu subito chiara la necessità di immediate risposte militari all’invasione tedesca e si moltiplicarono anche a Vicchio piccoli nuclei partigiani. Un gruppo si formò a Villore, sotto la guida di Orlando Recati, che in seguito venne arrestato e deportato in Germania. Un altro fu organizzato a Malnome, sopra Gattaia, da Bruno Gasparrini; esso nel gennaio si unì con il gruppo partigiano stanziato sul Monte Morello, dando vita alla formazione Checcucci.
Nei primi mesi del ’44 esisteva già un Comitato di Liberazione Nazionale (C.L.N.) di cui faceva parte anche un rappresentante dei coloni, Ottavio Grifoni, a testimonianza dello stretto legame tra lotta partigiana e mondo contadino che caratterizzò la resistenza mugellana e vicchiese.
Il 25 febbraio del ’44 si riunirono sotto il palazzo comunale di Vicchio oltre 250 contadini che protestavano contro le angherie dei fascisti. La manifestazione trovò immediato riscontro in numerose azioni di sabotaggio degli ammassi di grano e nell’attività delle bande partigiane. Il 6 marzo, infine, ebbe luogo l’attacco e l’occupazione del centro abitato di Vicchio ad opera dei partigiani della Checcucci e della Faliero Pucci; un episodio importante della Resistenza che consentì di allentare la pressione fascista sulla città di Firenze.
La reazione non si fece attendere. Centinaia di militi della Guardia Nazionale Repubblicana affluiti da Firenze invasero il paese. Molti furono gli arresti. Alcuni giovani furono processati a Firenze; sette furono condannati a morte e cinque di questi fucilati il 22 marzo al Campo di Marte a Firenze. Ma l’attività partigiana era ormai incontenibile; godeva dell’appoggio dei contadini. Nel luglio i partigiani decisero di sabotare la raccolta del grano per impedire ai nazifascisti di approvvigionarsi. La repressione fu, ancora una volta, durissima: a Padulivo, fra il 10 e l’11 luglio, le SS della Goering catturarono e fucilarono 15 ostaggi. La Liberazione di Vicchio, come quella degli altri paesi del Mugello, avvenne sotto il comando dei C.L.N. e coincise con l’offensiva alleata contro la Linea Gotica durante la prima decade di settembre. Gravissimi furono a Vicchio i danni causati dalla guerra alle infrastrutture civili, alle abitazioni e alle maggiori testimonianze architettoniche. Le due antiche torri medievali agli ingressi del centro abitato furono rase al suolo. Nel settembre il C.L.N. nominò la Giunta comunale che fu presieduta dal sindaco Guido Boccaletti. In seguito alle elezioni amministrative del ’46 si formò una solida maggioranza di sinistra, che espresse la Giunta, alla cui guida fu eletto Attilio Daspri. In seguito a dimissioni fu sostituito da Manlio Poggiali che guidò il Comune fino al luglio ’57, sostituito poi da Mario Becchi. A questi successe Giglio Cadas e poi Muzio Cesari, Roberto Berti, Ubaldo Salimbeni e Alessandro Bolognesi. Gli anni del dopoguerra furono caratterizzati da grandi sconvolgimenti economici e sociali. La popolazione quasi si dimezzò rispetto al cinquantennio precedente a causa dell’esodo dalle campagne.
Una figura di primo piano nella storia di Vicchio nel dopoguerra è sicuramente quella di Don Lorenzo Milani, che operò dal 1954 al 1967 nella piccola frazione di Barbiana, esercitando una grande influenza sulla Chiesa e sulla pedagogia.
Al 1981 risale il gemellaggio con la cittadina di Tolmin in Slovenia. La tragedia della guerra nella ex Jugoslavia ha rafforzato i legami di solidarietà con quelle popolazioni, originando iniziative volte a portare un aiuto concreto a quella gente, a cui hanno partecipato tutti i cittadini vicchiesi.
- Elezioni amministrative (sistema maggioritario), turno del 24 marzo 1946:
Blocco Democratico della Ricostruzione (Socialcomunisti) voti 4612 (77,8%); DC voti 1312 (22,2%) - Elezione per l’Assemblea Costituente, 2 giugno 1946:
DC voti 1236 (20,4%): PCI voti 1972 (31,8%); PRI voti 38 (0,6%); PSIUP voti 253 7 (40,9%); UDN voti 93 (1,5%); UQ voti 132 (2,196); Altri voti 165 (2, 7%) - Referendum Istituzionale, 2 giugno 1946:
Repubblica voti 4817 (80,9%); Monarchia voti 1136(19,1%)