a cura di Daniele Baggiani
La canzone dei Metallica “Master of Puppets”, uscita nel 1986, evocava la dipendenza, l’annullamento della volontà e il controllo invisibile: «Il padrone dei burattini sta tirando i tuoi fili». Cinquant’anni prima, in Germania, nel cuore del Terzo Reich, un “padrone silenzioso” di un altro tipo entrava in scena: la metanfetamina conosciuta con il marchio Pervitin. Questa sostanza non era solo un farmaco, ma divenne parte integrante della strategia bellica nazista, una leva industriale, farmaceutica e militare.
Origine e produzione industriale
l Pervitin è una metanfetamina (cloridrato) derivata dall’efedrina, brevettata il 31 ottobre 1937 e immessa in commercio dalla casa farmaceutica Temmler Werke GmbH di Berlino a partire dal 1938. Inizialmente fu presentato al pubblico tedesco come stimolante – capace di aumentare fiducia, diminuire fame e sonno, potenziare prestazioni – e venne venduto anche senza ricetta. Dal punto di vista produttivo, la Temmler raggiunse numeri impressionanti: ad esempio, nel 1940 la produzione quotidiana arrivò a circa 833.000 compresse di Pervitin. La Temmler divenne un’impresa strategica: la produzione del Pervitin veniva coordinata con criteri militari, e lo Stato pose la sostanza come “bene di guerra”.
Un’arma tattica: uso sistematico nell’esercito tedesco
La Wehrmacht e gli ambienti militari del Reich non si limitarono a impiegare Pervitin in modo occasionale: già durante l’invasione della Cecoslovacchia nel 1938 il farmaco venne testato su unità della divisione carri. Quando, il 1 settembre 1939, la Germania invase la Polonia, il Pervitin entrò in uso su larga scala tra le truppe: marce forzate, mancanza di sonno, fame cancellata: era un elemento della strategia di guerra lampo (Blitzkrieg).
Nel maggio 1940, durante l’avanzata in Francia, gli studi riportano che furono distribuite oltre 35 milioni di compresse tra aprile e luglio solo per quell’operazione. Una direttiva militare tedesca del 17 aprile 1940 (“Stimulant Decree”) stabilì che i medici dell’esercito dovevano includere nel materiale sanitario anche stimolanti come il Pervitin, riconoscendo ufficialmente che «l’esperienza della campagna di Polonia ha mostrato che in certe situazioni il successo militare è strettamente legato al superamento della fatica».
I soprannomi dati alle compresse parlavano chiaro: “Stuka-Tabletten”, “Panzer-Schokolade”, “Flieger-Marzipan” indicavano l’uso per siluristi, carristi, aviatori.
Il successo tattico e il retro della medaglia
Nel breve termine, l’impiego massiccio del Pervitin contribuì a una maggiore capacità di resistenza, veglia, attacco rapido: marce forzate senza sonno, avanzate improvvise, coordinamento sorprendente. Era un vantaggio tattico che si collegava perfettamente al concetto tedesco di “guerra di movimento”. Tuttavia, già dal 1941 emersero gli effetti collaterali: dipendenza, crolli psico-fisici, aumento degli incidenti, riduzione dell’efficacia nel medio termine.
Nel 1941-42 la distribuzione su larga scala venne ridotta, e l’uso controllato o limitato. In ambienti di combattimento prolungato, con attriti logistica difficile e fronte stazionario, la «forza chimica» del soldato non bastava più: la macchina bellica nazista entrò in una fase in cui la sostanza, da vantaggio tattico, divenne costo operativo e problema medico.
Effetti, dipendenza e memoria
L’uso del Pervitin sul fronte – e anche dietro le linee – portò a conseguenze gravi: insonnia prolungata, alterazioni dell’umore, aggressività, psicosi, aritmie, persino decesso per abuso. Diversi storici evidenziano che oltre alla “macchina perfetta” del Reich, esisteva un lato sommerso degli automi chimici: corpi esauriti, menti compromesse, dipendenze prolongate. Sul piano della memoria, ciò che rimane è una contraddizione: un regime che predicava purezza fisica e razziale, che demonizzava la degenerazione, ma che al tempo stesso armava i suoi soldati con una sostanza capace di cancellare la fame, la stanchezza e perfino l’inibizione.
Pervitin e Linea Gotica, un binomio possibile?
Nel contesto della campagna d’Italia, nelle asperità dell’Appennino, sui crinali della Linea Gotica, la stanchezza, la fame, la mancanza di sonno e il terreno difficile erano reali limiti operativi. In tale scenario, l’uso di stimolanti come il Pervitin offre una lente: come strategia chimica per superare la fatica fisica, la noia, la privazione. Tuttavia, nella guerra di montagna questi limiti sono anche mentali, ambientali e logistici. La sostanza non poté sostituire la catena di rifornimento, la coesione della truppa, l’adattamento al terreno e i decimi di errore umano. E nel lungo periodo, la chimica non risolve logistica, comando e morale.
Né sappiamo in effetti se alla fine del 1944 gli stremati soldati della Wehrmacht facessero o meno uso di questa sostanza ancora, né se il Pervitin fosse ancora disponibile per le truppe tedesche in Italia.
Una storia che insegna…
La storia insegna che il Pervitin e in genere le sostanze psicotrope costituiscono più un limite che un vantaggio nell’uso prolungato. Il Pervitin è un caso emblematico della tecnica della guerra totale che coinvolge la farmacologia del cervello: non solo armamenti, ma uso sistematico della farmacologia per aumentare la prestazione degli uomini.
Se inizialmente il Pervitin diede al Reich un vantaggio tattico concreto, contribuendo alla rapidità delle avanzate; già a medio termine divenne esso un boomerang, creando dipendenza, decadimento della capacità operativa, allucinazioni e collasso psichico.
Nel ritorno alla metafora dei «burattini e del padrone», il Pervitin può essere visto come uno dei fili tesi fra comando e soldato, fra ideologia e obbedienza, fra volontà individuale e macchina da guerra: la sostanza che aiutò a muovere corpi e voleri, ma che in definitiva tradì parte del progetto che doveva servire.

